Il punto settimanale di Carlo Vedani – AD di Alicanto Capital SGR – sulla situazione dei mercati finanziari.

Lo storno tanto atteso (e temuto) alla fine è arrivato. Le nuove dichiarazioni di Donald Trump sull’intenzione di imporre ulteriori dazi del 100% alle merci cinesi hanno infatti causato un forte arretramento di Wall Street, con ripercussioni altrettanto serie sulle Borse europee. La reazione di Pechino, che si è dichiarata disposta a “combattere fino alla fine”, ha fatto il resto.
L’ormai usuale mezzo passo indietro di Trump, esplicitato nella successiva dichiarazione “andrà tutto bene”, non ha ribaltato il trend dei mercati: gli indici non sono riusciti a mettersi alle spalle l’escalation che ha portato a una nuova crisi commerciale. O forse non hanno voluto farlo fino in fondo: il duello sino-statunitense è probabilmente una scusa presa dai listini per rifiatare, dopo un mese e mezzo di corsa sostenuta che però faceva fatica a trovare temi per sostenere un’ulteriore salita.

Non solo Cina

Non dimentichiamoci, poi, lo shutdown americano, una nuvola ben lungi dall’essere diradata. La chiusura delle attività governative Usa non essenziali influisce su Pil, comunicazioni al mercato e dati di occupazione statunitensi. Oltre che, in alcuni casi, anche sugli utili di qualche società. E’ pur vero che, solitamente, quando lo shutdown finisce avviene spesso un rimbalzo delle Borse; tuttavia, più lunga è la crisi, maggiori sono i problemi. In Europa ha probabilmente contribuito al trend borsistico anche la crisi di governo francese: contrariamente a quanto aveva dichiarato, Sébastien Lecornu ha accettato di formare un secondo governo, che presenterà una finanziaria più light rispetto alla precedente. In particolare, il premier ha deciso di rimandare la riforma delle pensioni fino alle prossime elezioni presidenziali, per ottenere il voto di fiducia dei socialisti. Un supporto che è essenziale per poter raccogliere il consenso dell’Assemblea Nazionale. Visti tutti questi problemi, si capisce quanto la correzione fosse nell’aria: il “venerdì nero” potrebbe esserne il punto di partenza. I listini sono ancora in sofferenza, mentre la volatilità è in aumento e il mercato mostra tutte le sue fragilità.

Beni rifugio

Per gli investitori si apre un periodo di scelte difficili. In generale, i prezzi più bassi offrono nuove opportunità di acquisto; tuttavia, è forse più consigliabile attendere una o due settimane, per capire se siamo di fronte a un calo temporaneo oppure a una correzione del mercato più seria e duratura. Difficile, ora, comprenderlo. Perché i problemi sono tanti, ma l’economia è ancora in buono stato. Sicuramente, a “fare 13”, come si usava dire una volta, sono stati gli investitori in oro e in argento. In questa lunga fase di incertezza, infatti, i due metalli hanno pienamente recuperato il ruolo di beni rifugio, salendo oltre il 70% e affermandosi – insieme al franco svizzero – come gli unici asset in grado di proteggere gli investitori. Oltre a ciò, l’argento ha anche un utilizzo industriale, il che riesce a supportarlo ancora maggiormente in caso di crescita. Per attraversare questo periodo di incertezza è quindi consigliabile estrema prudenza, giocandosi con molta attenzione i beni rifugio e cercando di alleggerire il portafoglio. Senza dimenticare di prestare molta attenzione alla rotazione settoriale, che ha visto i titoli precedentemente sugli scudi (come i finanziari o quelli legati al riarmo) in forte calo. Al momento ci sono alcuni settori che possono risultare interessanti: prima di tutto i minerari – il cui buon momento è legato ai nuovi record di oro e argento – e poi le utility, spesso indicate nelle fasi che necessitano di titoli difensivi. Come già detto, però, gli acquisti vanno pensati con molta cautela: sembra ancora presto per aumentare le proprie esposizioni, e chi può farà meglio ad attendere una manciata di giorni. Anche se alcuni singoli titoli, come Mps, hanno performato in controtendenza rispetto al loro settore, tornando a crescere.

Petrolio a rischio ribasso?

E il petrolio? Il petrolio è fermo nella fascia sotto i 70 dollari al barile, e neppure il processo di pace a Gaza sembra aver influito sulla sua quotazione. Il valore, di poco più basso rispetto alla fascia neutrale, sembra non volersi discostare dal suo attuale livello, molto più rassicurante rispetto ai picchi raggiunti dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Tuttavia, c’è un ma. Un prezzo che veleggia sui 65 dollari al barile è vicino ai 70, ma anche ai 60. Vale a dire che se, come qualcuno afferma, il greggio dovesse sfondare questo muro al ribasso, ci sarebbe da preoccuparsi, perché un petrolio troppo soft è sintomo di un indebolimento dell’economia.

Bond, boom domanda e offerta

Intanto è boom per le obbligazioni europee. I bond del nostro continente hanno stabilito un primato storico sia in termini di domanda, sia di offerta. Il motivo di questa situazione è semplice. La domanda record dipende dalla grande liquidità che c’è in giro; l’offerta ai massimi, invece, è causata dall’abbassamento dei tassi, per cui le aziende sfruttano le condizioni di mercato attuali per indebitarsi.

Golden power sotto accusa

Prosegue il duello fra la Commissione Europea e il governo italiano sul golden power. A breve (a quanto si ritiene, il prossimo mese) l’esecutivo di Bruxelles dovrebbe inviare due lettere a Roma, una delle quali conterrebbe una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia. Motivo: la legge sul golden power sarebbe contraria al diritto europeo e, secondo l’organismo di governo comunitario, dovrebbe essere modificata. “Ogni decisione che impedisca la creazione di un mercato unico dei servizi finanziari è motivo di preoccupazione“, ha detto chiaro e tondo Maria Luís Albuquerque, commissaria europea per i Servizi finanziari e l’Unione dei risparmi e degli investimenti. “Se qualcosa si metterà di mezzo, utilizzeremo gli strumenti a nostra disposizione per rimettere le cose sul binario giusto”. La posizione europea contrasta con quella del governo italiano che, per bocca del ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti, ha ribadito che la sicurezza nazionale è prerogativa dell’esecutivo. Scontato, quindi, il ricorso italiano a una procedura di infrazione europea, che potrebbe persino aprire a una pur poco probabile richiesta di danni da parte di Unicredit. In punto di diritto, le osservazioni della Commissione sono corrette. Ma fino a che punto si può limitare un governo nella tutela della sicurezza nazionale? Inoltre, sembra che l’Europa difenda i principi costitutivi in modo rigido con alcuni Paesi e più flessibile con altri: il dossier Commerzbank è lì a dimostrarlo.

Foto di Supradoc su Unsplash

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