Il punto settimanale di Carlo Vedani – AD di Alicanto Capital SGR – sulla situazione dei mercati finanziari.

Sono ormai definitivi i risultati delle elezioni europee, che hanno visto il boom dei partiti anti-sistema (soprattutto di destra, ma non solo), la crescita dei popolari, il calo dei socialisti e dei liberali e il crollo dei movimenti ecologisti. Se facciamo la conta dei seggi e ci basiamo sulle nude cifre, non dovrebbe cambiare molto: la “maggioranza Ursula” sembra tenere. Tuttavia nel 2019 l’attuale Commissione, con uno scarto ben maggiore, riuscì a ottenere l’ok del parlamento per meno di dieci voti, e per farlo dovette ricorrere alla fiducia di un partito, come i Cinque Stelle, fino a poco tempo prima contrario a questa coalizione. I popolari avranno il difficile compito di creare una maggioranza più ampia, magari conferendo un ruolo cruciale ai conservatori, nonostante la contrarietà dei socialisti. Il compito del Ppe è prevedibilmente molto difficile e a complicarlo ulteriormente c’è la disomogeneità del partito, che in ogni Paese ha una collocazione peculiare e spesso molto differente nello spettro politico.

Totocommissione

Incertezza anche sul nome del nuovo presidente di commissione: se Ursula von der Leyen sta insistendo per ottenere un secondo mandato, non è escluso che alcune voci dissenzienti tra i popolari (soprattutto tedeschi) cerchino di proporre un nome alternativo, meno legato alle politiche di green deal spinto e alle scelte di politica internazionale della Commissione uscente. Non è così improbabile l’indicazione di un nuovo candidato in grado di riassorbire parte delle proteste che hanno portato alla crescita dei partiti sovranisti. Un segnale, quest’ultimo, che può essere interpretato dai popolari come un campanello d’allarme: se a questo giro la maggioranza storica è riuscita a confermarsi, non è detto che sia così alla prossima tornata elettorale. Per questo, le linee politiche della precedente Commissione saranno forse un po’ annacquate.

Anche perché il terremoto elettorale è avvenuto soprattutto nelle due locomotive d’Europa, dove il voto di protesta si è rivelato particolarmente forte. In Germania il partito di estrema destra Alternative für Deutschland ha superato la Spd del cancelliere Olaf Scholz, piazzandosi al secondo posto dopo i popolari della Cdu-Csu. Successo, pur con meno seggi, anche della lista di sinistra massimalista e sovranista di Sarah Wagehnecht, ex capogruppo al Bundestag della Linke, che ha ottenuto il doppio dei seggi rispetto al suo ex partito. I due movimenti, pur su posizioni opposte, hanno raccolto il voto dei lavoratori colpiti del rialzo dei prezzi causato dal green deal e al progressivo disimpegno delle forze di governo dai problemi sociali. In Francia, la situazione è ancora più instabile: più di un seggio su due è stato assegnato al variopinto mondo anti-sistema (i partiti di destra e di sinistra radicale). Questo tsunami ha convinto il presidente Emmanuel Macron a sciogliere l’Assemblea nazionale e a convocare le elezioni legislative fra tre settimane. Un vero azzardo da poker, da “o dentro o fuori”, mosso dalla speranza di formare un fronte nazionale capace di riunire i partiti contrari al Rassemblement National di Marine Le Pen, attualmente primo partito francese.

Green deal: rinegoziazione in vista?

Un cambio di rotta della maggioranza (soprattutto se saranno coinvolti i conservatori) avrà un’inevitabile conseguenza: la rettifica delle strategie “verdi” che hanno creato malumori ad agricoltori, aziende produttrici di automobili e proprietari di casa. Difficile che si arrivi a una situazione da tabula rasa; non improbabile però che i vincoli di rotazione delle colture, già depotenziati, siano ulteriormente indeboliti, che le norme sulle emissioni degli allevamenti siano ammorbidite e che le misure sulle case green vengano completamente ripensate. Più difficile, ma non impossibile, un intervento sulla data del 2035, che dovrebbe sancire lo stop alla produzione dei motori endotermici.

Ita-Lufthansa: la crisi di Macron favorisce l’accordo?

Prima delle elezioni europee era dato per probabile un “no” del commissario alla Concorrenza Margrethe Vestager all’operazione Ita-Lufthansa, E questo sebbene la compagnia di bandiera tedesca avesse accettato di tagliare i voli tra l’Italia e gli Stati Uniti. Ora, però, le carte finiranno forse per rimescolarsi. Non tanto per i dubbi sulla riconferma di Margrethe Vestager (la decisione, prevista per il 4 luglio, precederà il voto sulla nuova Commissione Europea), quanto per l’estrema debolezza di Emmanuel Macron, che rende molto meno sostenibile una decisione intransigente di stampo filo-francese. La sconfitta dell’inquilino dell’Eliseo alza dunque le probabilità di un accordo fra la Commissione Europea e Lufthansa, messo a rischio dalle richieste esose dell’Ue.

Le reazioni delle Borse

Vista la situazione, è comprensibile che la Borsa più influenzata dai risultati sia stata quella di Parigi, che ha pagato l’incertezza per l’improvvisa scadenza elettorale estiva lasciando sul campo il 2%. Per il resto, le reazioni sono state abbastanza tiepide: l’euro ha subito un arretramento dello 0,6%. Per ora, uno scostamento non preoccupante. Lo spread Btp-Bund è invece salito sopra quota 140, con un tasso oltre il 4%. Più che una conseguenza dei risultati italiani (unico caso, tra i paesi maggiori dell’Unione, in cui il governo in carica ha visto salire i suoi consensi), la crescita del differenziale sembra correlata alle incertezze generali nell’Unione Europea. Incertezze che però non hanno influenzato Piazza Affari, il cui andamento ha seguito altre logiche. Non è una sorpresa che le Borse siano più sensibili alla politica monetaria delle banche centrali piuttosto che alle indicazioni della politica – a meno che, ovviamente, intervenga un periodo di forte perturbazione come quello francese. La volatilità delle Borse resta marginale, anche se in giugno ha un po’ virato verso l’alto, con la comparsa di una dispersione dei rendimenti. Attualmente, a evidenziare performance non soddisfacenti sono soprattutto i petroliferi, ridimensionati dal rientro del greggio nella fascia compresa tra 75 e 85 dollari al barile. Questi titoli possono dunque dimostrarsi appetibili. Mentre sembra convenire ancora il mantenimento in portafoglio delle azioni bancarie, spinte dalle nuove frenate sui tassi.

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