Il punto settimanale di Carlo Vedani – AD di Alicanto Capital SGR – sulla situazione dei mercati finanziari.

Le Borse hanno archiviato la scorsa settimana con un aumento della volatilità, ma il quadro tecnico non è cambiato. Nel nervosismo dei mercati, che li ha visti perdere, recuperare e perdere ancora, non si intravede infatti lo storno atteso e temuto da molti mesi, ma una fase laterale dovuta essenzialmente ai risultati delle elezioni europee e alle possibili conseguenze sulla Francia. Non si tratta, dunque, di un cambiamento di trend, ma piuttosto di una pausa, in un periodo di incertezza politica. Nell’Ue c’è attesa sulle nomine della Commissione e sulla conferma, tutt’altro che scontata, di Ursula von der Leyen alla presidenza. La decisione è molto importante, perché influenzerà in maniera chiara la strategia economica dell’Unione e inevitabilmente avrà un ulteriore impatto sull’andamento dei listini.

La corsa dell’intelligenza artificiale sembra esaurita

Per un eventuale storno, tuttavia, potrebbero volerci mesi. Le imminenti elezioni francesi e inglesi e le presidenziali americane di novembre sembrano in grado di prolungare la fase di attesa, incertezza e scarsa chiarezza che contraddistingue i grafici borsistici. Intanto stanno retrocedendo i titoli dell’intelligenza artificiale. Un settore che, insieme alle “cugine” bigtech, aveva trainato gli indici americani per molto tempo. Se esaminiamo i dati di Wall Street dal 1° aprile, vediamo un lungo grafico verso l’alto dei titoli Ia e di quelli delle otto grandi aziende legate alla tecnologia. Tolte quelle poche azioni, e considerati solo le restanti 475 società quotate, l’indice S&P sarebbe stabile o negativo.

Il franco corre troppo. E la Banca Nazionale Svizzera taglia

Torniamo al post-elezioni europee, e più precisamente ai suoi effetti sulle valute. A iniziare dal calo dell’euro rispetto al franco svizzero, dovuto soprattutto all’incertezza legata alle imminenti elezioni transalpine. Proprio con l’obiettivo di fermare l’impennata del franco, la Banca Nazionale Svizzera ha deciso di abbassare nuovamente i tassi di 25 punti base a 1,25%, con un’operazione non del tutto prevista dai mercati. Si tratta del secondo taglio consecutivo dopo quello dello scorso marzo, sempre dello stesso valore, mentre le attese sull’inflazione sono ottimistiche: per il 2024, le previsioni sono scese dall’1,4% all’1,3%, e per i due anni successivi ci si aspetta l’1,1% (2025) e l’1% (2026). La mossa sembra aver sortito qualche effetto: dopo la decisione della Bns, la moneta elvetica ha subito un rapido arretramento; tuttavia, almeno finora, l’euro ha recuperato sul franco soltanto una parte di quanto ha perso nel periodo post-elettorale. La corsa del franco dipende chiaramente dalla funzione di bene rifugio rivestita dalla moneta elvetica. Difficile, però, comprenderne a fondo i motivi, dato che la Svizzera non arriva a 9 milioni di abitanti e non potrebbe quindi stampare valuta per soddisfare eventuali richieste da varie parti del mondo. Neanche se lo volesse. Inoltre, la strategia di sforbiciare i tassi per provocare un calo di valore di una moneta non è sempre in grado di assicurare un risultato. Sono infatti molti i criteri che risiedono alla base del rafforzamento o dell’indebolimento di una divisa, e alcuni sono imponderabili. Se questo è vero per il franco, vale ancora di più per il dollaro, nella cui area ci sono squilibri molto più ampi che non nelle valute europee. Per questo motivo, non è detto che un’eventuale differenziazione di politica monetaria tra Bce e Fed debba per forza rafforzare il biglietto verde a scapito dell’euro.

Bank of England, i tassi restano invariati

Chi invece non ha toccato il saggio di sconto è la Bank of England: Threadneedle Street ha lasciato tutto com’era, ma diversamente dal passato le colombe si sono fatte sentire. La decisione di lasciare tutto fermo, infatti, è stata presa a maggioranza: due membri del board (il vicegovernatore Dave Ramsden e il consigliere Swati Dhinga) hanno infatti votato per una prima sforbiciata, alla luce della discesa dell’inflazione. Ora Londra aspetterà le elezioni per decidere la strategia monetaria. Sembra probabile che il board decida un taglio ad agosto. A meno di eventi imprevedibili.

Taylor Swift canta a Wembley. E l’inflazione si impenna

Una sorpresa potrebbe arrivare da un’apparentemente innocua manifestazione musicale. Si tratta delle tappe londinesi dell’Eras Tour, serie di concerti della cantante statunitense Taylor Swift, che si esibirà a Wembley per cinque volte dal 15 al 20 agosto. In pratica, secondo gli analisti della banca d’affari Td Securities, il massiccio afflusso dei fan della cantante nella capitale inglese provocherà un aumento robusto dei prezzi di alberghi, ristoranti e voli aerei, oltre naturalmente al costo (non trascurabile) dei biglietti di ingresso. Un aumento talmente forte da provocare un’impennata improvvisa dell’inflazione, mettendo in dubbio persino il taglio dei tassi previsto proprio in quei giorni. Il fenomeno ha già trovato un nome: SwiftflationLa previsione trova i suoi fondamenti nelle statistiche recenti sugli aumenti di prezzi che si sono verificati a Edimburgo, dove si è aperto l’Eras Tour; nella capitale scozzese sono arrivati 77 milioni di sterline dal concerto e dal suo indotto. Sebbene le cifre siano risultate più basse a Liverpool, gli analisti di Barclays hanno affermato che il tour potrebbe fruttare all’economia britannica una cifra vicina al miliardo di sterline. In ogni caso, se davvero i concerti di Taylor Swift provocheranno una “inversione a u” nei livelli di inflazione inglese, il fenomeno sarà comunque di breve durata: passati gli eventi, potrebbe rientrare in tempi relativamente brevi. Evitare il taglio dei tassi per l’effetto Swiftflation sarebbe dunque una decisione miope, data la natura momentanea del fenomeno. Considerata la durata dei rispettivi eventi, e il numero di spettatori coinvolti, avranno potenzialmente un maggiore impatto gli imminenti Giochi Olimpici di Parigi, o gli Europei di calcio in corso in Germania: entrambe le manifestazioni stanno causando un rincaro degli alberghi e di un’offerta di biglietti non certo economica, a fronte di una richiesta massiccia di biglietti e di impianti pieni.

 Autonomia differenziata, che cosa cambia

E’ intanto legge la cosiddetta “autonomia differenziata”, che dà applicazione alla riforma del titolo V della Costituzione, introdotta nel 2001 dal governo Amato (centrosinistra). La misura prevede che le regioni possano avviare un negoziato con lo Stato per ottenere le competenze su 23 materie, tra cui scuola, sport, salute, trasporti, energia, commercio estero, cultura, tutela e sicurezza del lavoro. Ogni governatore potrà richiedere le deleghe su tutte o su una parte dei soggetti. Lo Stato fisserà, per ogni area, i “livelli minimi di prestazione” per i servizi, che dovranno essere uniformi nell’intero territorio nazionale. La legge non è immediatamente applicabile, ma dovrà attendere normative collegate e decreti attuativi, che rimanderanno probabilmente l’autonomia di un paio d’anni. Per alcuni commentatori, la misura potrebbe acuire le differenze tra nord e sud, per altri invece si rivelerà uno stimolo per la crescita del Mezzogiorno. Interessante il pensiero, in controtendenza, di Claudio Velardi, direttore del Riformista, secondo cui il meridione non può vivere soltanto di assistenzialismo. “Accettare la sfida dell’autonomia espone il sud a grandi rischi, perché se – mobilitando finalmente le proprie forze – non ce la dovesse fare, il destino sarebbe una marginalizzazione storica, definitiva, l’accantonamento di ogni ipotesi di modernizzazione”, ha scritto il giornalista napoletano in un post sul suo blog. “Ma non accettarla espone a qualcosa di peggio: significa confermare i pregiudizi, essere bollati definitivamente come la palla al piede del paese”.

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