Il punto settimanale di Carlo Vedani – AD di Alicanto Capital SGR – sulla situazione dei mercati finanziari.

Le elezioni legislative francesi si sono chiuse in modo inaspettato e hanno mostrato un quadro politico incerto. Le tre maggiori forze, da sole, non raggiungono i 289 seggi necessari per governare: il presidente Emmanuel Macron farà di tutto per favorire un difficile esecutivo con la presenza del suo movimento Ensemble e di alcune parti della sinistra. Coalizione, quest’ultima, già a pezzi poche ore dopo il voto. Con l’iniziativa “multicolore” del presidente potrebbero schierarsi socialisti e verdi, forse persino comunisti e gaullisti, oltre ad alcuni transfughi dalla France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon, che da parte sua ha rivendicato la poltrona di primo ministro, in qualità di leader del primo partito della coalizione con più seggi. Facilmente, invece, Mélenchon resterà fuori, al pari del Rassemblement National di Marine Le Pen e Jordan Bardella, movimento che pur ha ottenuto il maggior numero di voti.

Qui Parigi: voto diviso, ma i mercati recuperano

L’incertezza non ha però scalfito i mercati che, anzi, hanno reagito bene all’esito della consultazione elettorale transalpina: le Borse hanno recuperato gran parte delle perdite accumulate dopo lo scioglimento dell’Assemblea nazionale, e in Italia molte banche sono addirittura balzate ai massimi storici. Evidentemente, la mancata vittoria di Marine Le Pen e la probabile esclusione di Mélenchon dalla prossima coalizione di governo sono stati interpretati come segnali pro-mercati e favorevoli all’attuale establishment europeo. Tuttavia, anche se una maggioranza così eterogenea arrivasse a governare, dovrebbe fare i conti con la sua intrinseca fragilità, che porterebbe l’esecutivo a raggiungere equilibri precari e a rischiare di cadere su vari temi. Ciò potrebbe sfociare in un immobilismo pericoloso, dato che la legislazione francese non permette lo scioglimento delle camere più di una volta in 12 mesi. Tutto questo in un contesto che vede Parigi in difficoltà economica: contro la Francia è già in atto una procedura di infrazione da parte dell’Unione Europea, causata da un debito pubblico praticamente raddoppiato negli ultimi sette anni. E’ quindi presto per affermare che Macron ha vinto la sua scommessa: un po’ per la difficoltà di affrontare una coabitazione tra forze così diverse, un po’ per l’attuale debolezza sul fronte economico. Anche dal punto di vista politico, il presidente potrebbe avere incassato una vittoria di Pirro: non è escluso che il suo vero obiettivo fosse di far governare il Rassemblement National e, in una situazione così difficile per il debito pubblico, di ”bruciarlo“, per evitare un successo della destra alle presidenziali. Si prevedono, in ogni caso, trattative lente ed elaborate: durante i Giochi Olimpici di Parigi sarà il governo uscente di Gabriel Attal a sbrigare gli affari correnti, in attesa che i riflettori a cinque cerchi lascino la Ville Lumière.

Qui Londra, la vittoria laburista e le speranze di disgelo con Bruxelles

Se la Francia esce dalle legislative senza una maggioranza, la Gran Bretagna ha già un premier con un supporto solido. Come previsto i laburisti hanno vinto, conquistando il controllo della Camera dei Comuni, e il loro leader Keir Starmer ha già ricevuto l’incarico da parte di re Carlo III. Il risultato è figlio della sconfitta dei conservatori – favorita anche dall’entrata in campo della destra di Reform Uk – ma dipende ancor di più dal sistema elettorale inglese. In Francia, con il doppio turno, il Rassemblement National ha ottenuto il maggior numero di voti (34%) incassando però solo il 24% dei seggi; in Gran Bretagna, con il turno unico, i laburisti hanno conquistato una percentuale simile di suffragi (33%), ma con il 68% dei parlamentari. Anche dopo le elezioni inglesi (che hanno anticipato di tre giorni il secondo turno in Francia), i mercati hanno reagito in maniera favorevole, ritenendo che, almeno per sei mesi, le tasse non saranno toccate. Ottimismo anche sui futuri rapporti con l’Unione Europea, che potrebbero portare Londra e Bruxelles a trattative per limare gli angoli della Brexit e riavvicinarsi su alcuni, precisi ambiti.

Qui Bruxelles: che ne sarà di Ursula von der Leyen?

La prossima scadenza per la tenuta delle Borse europee sarà l’imminente voto al Parlamento Europeo sulla nuova Commissione von der Leyen. La maggioranza sembra esserci, ma la possibilità che i “franchi tiratori” possano ribaltare un risultato favorevole (lo scrutinio è infatti segreto) apre anche la possibilità di nuove reazioni isteriche dei mercati. Per questo motivo è bene, per gli investitori, mantenere la calma e stare in attesa. Anche perché il settore più performante, quello bancario, ha già raggiunto livelli molto alti, soprattutto a Piazza Affari. In ogni caso, la votazione sulla Commissione Europea non archivierà il periodo di forte influenza sulle Borse da parte della politica internazionale: è infatti in pieno svolgimento la “telenovela” su Joe Biden, che si sta trasformando in un braccio di ferro fra il presidente uscente, in evidente difficoltà ma non intenzionato a cedere, e un numero gradualmente maggiore di compagni di partito che vorrebbero cambiare candidato. In questa situazione, Wall Street tiene, trainato soprattutto dai tecnologici.

Tassi fermi

In un contesto dominato dalle scadenze elettorali, sembra che il lungo e sfiancante dibattito sui tassi sia scivolato in secondo piano. Ma non è così. Ci ha pensato il Forum delle banche centrali di Sintra (Portogallo), appuntamento annuale organizzato dalla Bce, a far tornare il costo del denaro  sotto i riflettori. Christine Lagarde, in particolare, ha ricordato che l’inflazione, da ottobre 2022 a oggi, è passata dal 10,6% al 2,6%, convincendo l’Eurotower a ridurre i tassi lo scorso giugno. Ma chi pensa a un nuovo taglio a breve resterà deluso. Perché, ha proseguito la presidente della Bce, “non abbiamo ancora portato a termine il compito e dobbiamo restare vigili”. In altre parole, livelli fermi per chissà quanto. “Data l’entità dello shock sull’inflazione“, ha spiegato Christine Lagarde, “un soft landing non è garantito“. Un discorso dai toni non così diversi è stato pronunciato da Jerome Powell: il presidente della Fed ha sottolineato i “progressi” sul lato inflazione, ma ha aggiunto che prima di allentare le restrizioni monetarie è meglio “essere più sicuri che stia tornando al target”. Nessuna data prevista per introdurre i tagli anche negli Stati Uniti, dunque: “abbiamo tempo“, ha affermato laconicamente Powell. I due interventi sembrano svelare scenari simili, ma tra Ue e Usa ci sono grandi differenze. Negli Stati Uniti l’economia va bene, mentre il problema vero dell’Europa è la crescita, che notoriamente è poco stimolata. I vincoli di stabilità possono essere rispettati se i paesi crescono. Tra i due mali, è preferibile un po’ di inflazione in un’economia che si sviluppa piuttosto che una stagnazione senza molte prospettive.

Foto di Samuel-Elias Nadler su Unsplash