Credit Suisse, un blitz per il salvataggio
Le autorità elvetiche hanno scongiurato il rischio di fallimento della banca, organizzando in tempi record l'acquisizione da parte di Ubs. Sospiro di sollievo da parte dei mercati. Ma non tutti hanno reagito bene...
Il punto settimanale di Carlo Vedani - AD di Alicanto Capital SGR - sulla situazione dei mercati finanziari.
Una corsa contro il tempo, che aveva come scadenza l'apertura dei mercati. Stiamo parlando, naturalmente, del salvataggio di Credit Suisse, che solo pochi giorni fa era a fortissimo rischio e che è stata rimessa sui binari in extremis dalle istituzioni elvetiche, grazie all'acquisizione in tempi record da parte di Ubs. Anche se con parecchi strascichi su vari fronti, da quello occupazionale alla caduta d'immagine della piazza finanziaria confederata, fino al forte impegno economico delle casse pubbliche – e, quindi, dei contribuenti svizzeri.
L'arrivo del contagio
La crisi del Credit Suisse si era aperta poco dopo il fallimento di Silicon Valley Bank. Il gruppo svizzero aveva accusato il colpo dopo l'annuncio delle autorità americane, che avevano garantito i correntisti, ma non tutti gli obbligazionisti dell'istituto californiano. Il taglio annunciato ai possessori di bond Svb aveva quindi visto azioni e obbligazioni bancarie scendere di prezzo – con annessa crisi di fiducia sulla sostenibilità dei bilanci. E diffidenza nei confronti delle banche più vulnerabili. Come, appunto, Credit Suisse, bollata dalla stampa internazionale con il poco lusinghiero appellativo di “nuova Lehman”. A sancire l'inizio delle turbolenze è stata una dichiarazione rilasciata, nel corso di un convegno, da Ammar al-Khudairy, presidente di Saudi National Bank. Che altro non è che il primo azionista di Cs con il 9,88%. Il banchiere saudita ha affermato che “ora controlliamo il 9,8% delle banca; andare oltre il 10% comporterebbe troppe nuove regole da rispettare”. Un'esternazione non così clamorosa, che, in tempi normali, sarebbe stata archiviata alla fine del convegno. Ma che in un momento di fortissimo pericolo per la banca è stata presa come pretesto per un attacco speculativo, spinto dall'ampia copertura mediatica della dichiarazione. Risultato: titolo ai minimi, a 1,65 franchi (ne valeva oltre 90 nel 2007). Così, mentre al-Khudairy cercava di calmare la tempesta, accusando da una parte gli speculatori e dall'altra dicendosi sicuro che il governo svizzero non avrebbe lasciato fallire l'istituto, la Banca Nazionale Svizzera – dopo un momento di esitazione - è venuta in aiuto a Cs, accordandogli un prestito di 54 miliardi di franchi. Nel mentre, le autorità confederate hanno spinto per una fusione tra Ubs e Credit Suisse, che – dopo serrate trattative – si è concretizzata, proprio a poche ore dalla riapertura dei mercati. Il prezzo dell'operazione sarà di 3 miliardi di franchi, dopo che un'offerta da 1 miliardo ed una successiva da 2 miliardi erano state sdegnosamente rifiutate dal board Cs. La Banca Nazionale, che ha caldeggiato l'operazione, garantirà l'operazione per oltre 100 miliardi di franchi, e cioè il 20% del pil svizzero. Una somma enorme.
Operazione lampo
L'operazione che ha evitato il crac del Credit Suisse (facendolo, in realtà, sparire tra le braccia del suo storico rivale) si è rivelato un vero e proprio blitz, che ha sorpreso tutti per la sua rapidità. La fusione è stata sicuramente favorita dall'indipendenza della Svizzera e del suo istituto centrale, che ha la possibilità di “creare” il denaro, senza essere sottoposto ai farraginosi meccanismi a cui deve soggiacere la Bce. In ogni caso, l'operazione lampo non è stata creata dal nulla. Quasi sicuramente esisteva un “piano B”, un progetto di salvataggio del Credit Suisse da sviluppare in caso di rischi estremi per la banca. Già, perché da tempo Cs evidenziava forti problemi, e qualcosa covava sotto la cenere. Fin dal 2021, quando il fallimento di Archegos Capital Management aveva causato alla banca svizzera perdite per oltre 5 miliardi di dollari.
I contenti e gli scontenti
A tirare un sospiro di sollievo, naturalmente, le Borse (che hanno rimbalzato dopo la notizia) è il duo Bce-Bank of England, entrambe molto preoccupate di un'eventuale reazione forte dei mercati e di una pressione sui titoli bancari europei. Plauso anche da parte di Asb, l'associazione svizzera dei banchieri: secondo il suo presidente Marcel Rohner, l'operazione ha salvato la credibilità della piazza finanziaria elvetica, e la reputazione della Svizzera, pur “intaccata”, non è stata distrutta. Ci sono, però, anche voci critiche. Prima di tutto, è stata evidenziata un'anomalia: sono stati garantiti gli azionisti, ma non i possessori di obbligazioni subordinate: rovesciando la normale gerarchia del rischio, le autorità di controllo elvetiche hanno azzerato 17 miliardi di CoCo bond, aprendo la porta a una prevedibile serie di cause (già annunciate). La decisione è stata possibile perché, tecnicamente, l'operazione Ubs-Cs non è un salvataggio, ma una fusione. Tuttavia il disagio, anche fuori del perimetro di Credit Suisse, si è rapidamente diffuso: il timore fra i sottoscrittori di CoCo è che l'affaire Credit Suisse possa costituire un precedente pericoloso. Un via libera che al verificarsi di casi simili sia in grado di sovvertire nuovamente l'ordine del rischio. Per un mercato enorme, pari a circa 260 miliardi di euro in tutto il mondo. A ricorrere non saranno solo gli obbligazionisti Cs: ad annunciare cause anche alcuni azionisti di Ubs, che hanno lamentato la mancanza di un voto per dare l'ok alla fusione. Preoccupazione anche dalle organizzazioni sindacali Uss e Aseb, per il rischio che l'accorpamento fra i due colossi del credito causi 10.000 esuberi: l'Uss ha tuonato che non devono essere i dipendenti a pagare “per gli errori dei dirigenti della banca e delle autorità”. C'è anche un rischio istituzionale: il parlamento svizzero potrebbe essere chiamato a una sessione straordinaria (obbligatoria se almeno un quarto dei membri di una delle due camere lo richiede) per discutere dell'operazione. Molto difficile, però, che il Consiglio Federale (o le cause annunciate) possano mettere in dubbio la fusione. Chiunque conosca il mercato sa che banche di quelle dimensioni non possono fallire: sarebbero troppe e troppo devastanti le conseguenze sul sistema economico.
La reazione dei mercati
Inizialmente, i mercati hanno reagito con isteria, ma il via libera all'accordo Ubs-Cs ha portato serenità, con un buon rimbalzo a Piazza Affari. È dunque un momento favorevole per valutare un investimento con attenzione e con il supporto di un consulente esperto. Prima della crisi delle banche americane era consigliabile non incrementare le posizioni. Ora, con il forte calo di questi dieci giorni, sembra lecito attendersi un forte recupero. Una banca solida come Intesa Sanpaolo, ad esempio, ha perso il 25% in una settimana: il prezzo del titolo in borsa potrebbe affrontare una rapida fase di rimbalzo, soprattutto in vista di una trimestrale prevedibilmente molto positiva – come probabilmente accadrà per la maggioranza degli istituti di credito italiani. Naturalmente, l'outlook dipende anche da una previsione ottimistica: cioè, la quasi certezza che le nostre banche non saranno contagiate dal caso Credit Suisse, anche perché le loro esposizioni obbligazionarie nei confronti della banca tigurina sono trascurabili o nulle. Oltre a questo, è bene ricordare che, dopo la crisi Lehman, il sistema bancario europeo è riuscito a imporsi regole ferree che sembrano aver funzionato. Il settore è ora forte e stabile, diversamente da quello americano che si è dimostrato fragile soprattutto nel caso delle banche periferiche e regionali. L'unico campanello d'allarme potrebbe invece scattare se i cinesi che hanno depositi o investimenti nelle banche europee decidessero di spostarli altrove, impauriti dall'eventualità di sanzioni a Pechino (e ai suoi cittadini) a imitazione di quelle già applicate alla Russia. Un rischio per ora remoto, ma che non deve essere ignorato.
La Bce tira dritto
In tutto questo bailamme qual è stata la reazione della Bce? Praticamente nulla. Christine Lagarde ha regolarmente alzato i tassi di 50 punti. Come se nulla fosse successo, come se la crisi del Credit Suisse non si fosse verificata. Sembra molto lontano il whatever it takes di draghiana memoria. Il comportamento attuale del board dell'Eurotower sembra più simile a quello dei vari Politburo dell'era sovietica, che tracciavano in piani quinquennali e non li cambiavano neppure in presenza di elementi che avrebbero richiesto una reazione rapida o un cambio di strategia. L'estrema rigidità della Bce è stata male accolta dai mercati, causando una forte volatilità assorbita solo per le notizie provenienti dall'asse Berna-Zurigo.
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