Il fulmineo rimbalzo dei titoli bancari

Il timore di una crisi sistemica che inquietava i sonni degli investitori solo un mese fa sembra ormai un lontano ricordo: le azioni dei gruppi di credito europei hanno recuperato buona parte delle perdite e gli indici sono vicini ai massimi di inizio marzo. A essere penalizzati, gli operatori troppo prudenti, che hanno deciso di rimanere ai margini. Volano l'oro e le criptovalute

Il punto settimanale di Carlo Vedani - AD di Alicanto Capital SGR - sulla situazione dei mercati finanziari.

La settimana di Pasqua si è aperta bene per le Borse europee, mentre Wall Street è riuscita a recuperare la parità dopo una partenza negativa. In generale, i mercati si trovano in una sorta di trading range, con i titoli tecnologici che la fanno da padroni. Ora vedremo se avverrà un ritracciamento oppure, complici le prime trimestrali, si verificherà una nuova gamba rialzista.

 Ma cos'è questa crisi?

La crisi bancaria, da parte sua, si sta sgonfiando anche negli Stati Uniti, mentre in Europa sembra ormai quasi del tutto rientrata. Nel nostro continente, il rimbalzo dei titoli bancari è stato infatti netto, inequivocabile e veloce e l'Italia non ha fatto eccezione. Dopo aver perso in media il 20%, le azioni del settore creditizio sono rimbalzate, recuperando due terzi delle perdite subite in marzo. E rendendo ora problematico entrare a chi ha deciso di prendersi una pausa e attendere. Questa scelta è stata fatta propria anche da grandi operatori di mercato, che hanno deciso di rimanere sottopesati attendendo lo storno. E lo storno si è verificato ma è durato meno di una settimana, cogliendo di sorpresa gli “attendisti” che non hanno avuto la forza di rientrare. Ora per questi operatori, non è facile capire cosa fare. Anche perché i dati sull'inflazione sono ancora poco confortanti – sebbene l'inversione di tendenza e la discesa non siano, a rigor di logica, così lontane.

Su la produzione industriale, ancora stabili i consumi

Nel nostro paese, in ogni caso, ci sono spiragli positivi sul fronte dell'economia reale. Secondo Banca d'Italia, la produzione industriale è tornata a salire dopo due trimestri chiusi in calo. Una buona notizia, che mostra quanto il settore sia tornato a brillare, dimostrandosi più reattivo che non in altri paesi europei. Il dato, decisamente incoraggiante, si aggiunge alla leggera crescita del pil, ma non traina i consumi, che restano stabili. Naturalmente, l'inflazione e la perdita del potere d'acquisto hanno assunto un ruolo decisivo in questo trend, soprattutto perché colpiscono energia e alimenti. È curiosa, ma anche esemplificativa, un'indagine commissionata da Facile.it agli istituti mUp Research e Norstat, secondo cui sono ormai 5,3 milioni i nostri connazionali che, per risparmiare, acquistano soltanto cibo prossimo alla scadenza (e quindi venduto con uno sconto, talvolta molto forte). L'attuale percentuale, pari al 12,1%, è quasi doppia rispetto a quella del 2018 (6,9%). Il reddito disponibile è dunque sceso. Ma i dati sul turismo a Pasqua, decisamente positivi, ci fanno sperare in segnali di ripresa anche su questo fronte: i numeri sono superiori ai livelli pre-Covid e, oltre all'afflusso di almeno un milione di turisti stranieri, hanno visto un contributo anche da parte di gitanti e vacanzieri italiani.

 Sale il petrolio

A sabotare la ripresa dei consumi, però, potrebbe pensarci il petrolio, che è tornato sopra quota 80 dollari, ai massimi dallo scorso inverno. Il rincaro del greggio, che dipende essenzialmente dal taglio di produzione da parte dell'Opec+ su pressioni saudite, fa paura non tanto per i livelli raggiunti, ma per il trend verso l'alto che sembra poter proseguire ancora. Se viceversa la valutazione si arrestasse sugli attuali livelli, l'incremento sarebbe decisamente sopportabile per imprese e consumatori europei, dato che il dollaro – valuta di riferimento per le quotazioni dell'oro nero - si è recentemente indebolito. Il gas, dopo una “puntata” oltre i 50, è invece tornato più vicino a quota 40 e lascia sperare in un ulteriore decremento. Un elemento determinante sarà la temperatura della prossima estate: se il caldo raggiungesse livelli importanti, salirebbe la richiesta di energia per i climatizzatori, rischiando di innescare una spirale di aumenti ad Amsterdam.

 Emergenza siccità

Ma a preoccupare davvero l'economia italiana è la siccità nell’Italia del nord. Il governo ha approvato un decreto per affrontare questa ennesima emergenza, ma la norma potrà solo fare da tampone: per vederne gli effetti si dovrà attendere un tempo molto lungo, - almeno tre anni. Alcuni interventi ulteriori, tuttavia, potrebbero essere affrontati subito. Per esempio l'uso, per alcuni servizi, dell'acqua attualmente non utilizzata - come, quella, abbondante, del sottosuolo di Milano, in grado di innaffiare senza rischi i parchi pubblici. E ancora: oggi si va ad attingere a 50 metri: si potrebbe discutere se sia il caso, in tutta sicurezza, di alzare il livello a 30. Il decreto affronta anche il tema della manutenzione della rete idrica, che si trova in una situazione talmente critica da disperdere una parte sostanziosa del proprio contenuto. È lecito aggiungere che questi lavori, un po' come la riqualificazione della rete elettrica, sarebbero dovuti risultare un obiettivo prioritario per l'utilizzo del denaro messo a disposizione dal Pnrr. Che invece è stato speso, in gran parte, per interventi infrastrutturali meno urgenti. Speso, sì, ma solo in minima parte: la quota maggiore del denaro stanziato dall'Europa è ancora inutilizzata. E questo, nonostante la vulgata comune, non è necessariamente un male: gran parte del tesoretto a disposizione viene erogato in forma di prestito, da restituire in tempi debiti; soltanto un quinto circa di questo denaro è a fondo perduto. In fondo, se lo stato dovesse attingere solo (o principalmente) a questa porzione, eviterebbe di indebitare i cittadini per gli anni futuri.

 Oro, oro, oro

Titoli bancari su, petrolio su. Ma a fare il classico “botto” è stato l'oro. Non tutti ci credevano, ma il metallo giallo è riuscito a sfondare il muro dei 2.000 dollari – anche in questo caso, l'indebolimento del biglietto verde ha favorito il record. Il picco ha scritto, a suo modo, una pagina di storia. Ma, è bene tenerlo presente, la vera impresa è rimanere su questi livelli. Il che, naturalmente, non è affatto scontato. Anzi: su questo punto gli analisti si dividono in maniera molto netta. C'è chi preconizza un innalzamento a 2.500 o addirittura a 3.000 dollari e c'è chi prevede, nel caso in cui la Fed continuasse ad alzare i tassi, un rafforzamento del biglietto verde e una picchiata dell'oro sotto i 1.500 dollari. Sono decollate anche le criptovalute, spinte dal picco raggiunto da Doge, anche per l'endorsement di Elon Musk su Twitter.

Foto di Jingming Pan su Unsplash


Il crac Silicon Valley Bank spaventa i mercati. Ma non sarà una nuova Lehman

Il default della banca californiana contagia rapidamente altre aziende di credito a stelle e strisce e getta nel panico le Borse di tutto il mondo. Vari osservatori evocano lo spettro del 2008 e della crisi sistemica che ne seguì. Ma tra i due scenari ci sono alcune differenze che potrebbero rendere meno impattante la nuova crisi

Il punto settimanale di Carlo Vedani - AD di Alicanto Capital SGR - sulla situazione dei mercati finanziari.

Solo otto giorni fa, i riflettori del mercato erano puntati su Jerome Powell, che in audizione al Congresso si era detto pronto a velocizzare l'aumento del costo del denaro e a portare i tassi più su rispetto alle attese. Pochi giorni dopo, il fallimento improvviso di Silicon Valley Bank ha rapidamente conquistato il centro della scena, scatenando un terremoto sui mercati e rinfocolando paure di una crisi sistemica che non si verificava dai tempi del fallimento Lehman.

I motivi del crac

Per comprendere i motivi del crac è utile spiegare la strategia di business di Svb. La banca californiana finanziava circa la metà delle start up americane, che a loro volta versavano nei suoi forzieri gli importi che non erano stati impiegati. Con le somme depositate, l'istituto - con il classico “circolo virtuoso” - sosteneva nuove start up che richiedevano denaro in prestito e, nel contempo, sottoscriveva anche titoli di stato a lunga scadenza del Tesoro americano. Tutto bene fino all'aumento dei tassi, che ha reso più rischiosi alcuni investimenti, tra cui proprio quelli sulle start up. Che, proprio a causa delle necessarie ristrutturazioni, hanno fermato i depositi e invertito la marcia, iniziando a prelevare dalle casse di Svb il denaro di cui avevano bisogno. Fino a quando la banca californiana - che, ricordiamolo, aveva un patrimonio pari a 209 miliardi di dollari - si è trovata a secco. Per compensare il calo dei depositi, Silicon Valley Bank ha quindi avviato in tutta fretta la vendita - in perdita - di un portafoglio obbligazionario di 21 miliardi di dollari, costituito soprattutto da titoli di stato Usa (acquistati - imperizia dei manager, più che sfortuna – proprio mentre la Fed si apprestava ad avviare la stretta monetaria e, nel contempo, il settore delle start up arretrava). La vendita in perdita ha ridotto, ma non eliminato, l'allarme-liquidità, lasciando un buco da 1,8 miliardi di dollari. A questo punto si è tentata la mossa estrema: l'aumento di capitale, che però non ha trovato investitori sufficienti. E si è scatenato il panico: le start up hanno iniziato la corsa al ritiro dei propri depositi dalla banca. Negli Stati Uniti, in caso di fallimento dell'istituto depositario, il fondo di garanzia assicura il rimborso di una somma fino a 250.000 dollari, non un penny in più. Per questo motivo, le start up (che, comprensibilmente, hanno depositi ben maggiori) hanno cercato di salvare il salvabile. L'annuncio che assicurava il rimborso a tutti i depositanti (e non solo di quelli con meno di 250.000 dollari sul conto) è giunto tardivo: a quel punto ormai il buco si era allargato sensibilmente. E la banca era ormai spacciata e costretta a dichiarare fallimento.

In ritardo

Il default si poteva evitare? Probabilmente sì. Le banche sono il pilastro fondamentale del sistema economico: non possono fallire. E, in caso di difficoltà, occorre fermare il rischio di bank run per tempo. Questo non è stato fatto, rimandando l'annuncio della salvaguardia dei depositi a default avvenuto. Una domanda è lecita: coprire l'aumento di capitale da 1,8 miliardi – o, in subordine, garantire tutti i depositi fermando la corsa ai prelievi – sarebbe costato di più rispetto alla situazione attuale? Sicuramente no. Tuttavia, le autorità americane hanno preferito agire (anzi, non agire) in pieno stile Far West senza pensare alle conseguenze che ne sarebbero derivate. Se il Tesoro Usa fosse entrato nel capitale della Silicon Valley Bank, probabilmente lo avrebbe fatto a costo zero, magari anche guadagnandoci al momento di rivenderne le azioni rivalutate. E, soprattutto, avrebbe evitato un nuovo rischio sistemico che, invece, si aggira come uno spettro nelle Borse di tutto il mondo. È il caso di dirlo: la storia sarà anche maestra di vita, ma spesso i decisori se ne dimenticano. E si verificano queste situazioni.

Rischio contagio

Il default di Silicon Valley Bank ha portato con sé fondati timori di contagio. Un rischio che, ha dichiarato il segretario al Tesoro Usa Janet Yellen, deve essere assolutamente evitato, anche se – ha proseguito – il sistema bancario Usa “rimane resiliente”. Escluso anche un salvataggio pubblico di Svb: "vogliamo far in modo”, ha detto Yellen, “che i problemi di una banca non vadano ad affliggerne altre che sono solide". La situazione, tuttavia, desta preoccupazione perché negli Stati Uniti, il contagio è già partito: a stretto margine dal crac Silicon si sono arrese anche Signature Bank e Silvergate Exchange Network, due istituti di credito crypto-friendly. E si teme per altre banche americane, mentre le Borse crollano. Siamo in presenza di una nuova Lehman? Impossibile dirlo ora, anche se la situazione consente un cauto – molto cauto - ottimismo. Gli interventi nel fine settimana sono più che sufficienti per tranquillizzare i mercati, perché, i soldi dei correntisti sono stati garantiti. Anche quelli superiori a 250.000 dollari.

Banche europee

Nonostante le rassicurazioni di Tesoro americano e Fed, il panico ha varcato l'oceano, portando al crollo anche le Borse europee. A guidare il picco negativo è proprio Milano, per lo stesso motivo che l'aveva vista macinare punti fino a pochi giorni fa: la presenza massiccia di titoli bancari nel suo listino. Una caratteristica che l'ha resa un po' come l'acqua marina di Eraclito di Efeso: motore di crescita in tempo di aumento dei tassi, elemento esiziale in epoca di crisi sistemica bancaria. Ma per quale motivo la copertura al 100% dei depositi non ha fermato il pessimismo? Perché – e parliamo soprattutto delle banche europee – le istituzioni americane hanno garantito i depositi, ma non le obbligazioni senior, che evidentemente vari istituti di credito Ue hanno in pancia. Ancora una volta, le banche dell'Unione Europea – che sono senza dubbio le più sane – pagano per le speculazioni avventate che si verificano oltre oceano e per il lassismo delle autorità di controllo americane. Elementi, questi ultimi, che spiegano il motivo per cui le grandi crisi sistemiche partono solitamente dagli Stati Uniti.

Tassi: aumenti congelati?

L'aumento dei tassi, come abbiamo visto, ha avuto la sua parte nella vicenda che ha rapidamente portato al capolinea Silicon Valley Bank. Sono fondati i timori, nel mondo economico americano, che un'ulteriore stretta monetaria potrebbe mettere ancora più a rischio gli investimenti meno sicuri, come quelli che coinvolgono le start up. Anche per questo, negli Stati Uniti si dà per molto probabile uno stop provvisorio agli aumenti dei tassi. Secondo v, la Fed potrebbe rinunciare al previsto ritocco di 50 punti: l'emittente americana ha quotato al 66% questa eventualità. Lo scopriremo il 22 marzo, data in cui è in calendario l'incontro della Federal Reserve. Più difficile prevedere le mosse della Bce, che si riunisce domani. Christine Lagarde ha evitato dichiarazioni, ma tra i gestori monta un certo pessimismo: nonostante numerosi appelli alla ragione, l'Eurotower potrebbe persistere in una strategia impermeabile alle vicende esterne ed estremamente difficile da comprendere. Come detto in precedenza, il 2008 non ha insegnato niente: in quell'anno Jean-Claude Trichet, dopo il crac Bear Stearns, continuò ad alzare i tassi in Europa fino a luglio; oggi Christine Lagarde (guarda caso due francesi...) è sulla stessa strada per ripetere lo stesso errore. Ma tanto loro, quanto i burocrati che li coadiuvano non pagano mai per gli errori clamorosi che compiono.

Entrare sul mercato o restarne fuori?

Detto questo, la vigilanza più attenta e la maggiore solidità che contraddistinguono le banche europee sono un po' gli anticorpi che dovrebbero evitare guai seri alle aziende di credito del nostro continente. Per questo motivo, non è detto che gli investitori, soprattutto italiani, debbano rimanere fuori dal mercato troppo a lungo. Non molto tempo fa consigliavamo di mantenere le posizioni a chi stava già investendo, suggerendo agli altri di attendere, in attesa della correzione dei mercati. Ecco: la correzione sta arrivando. Sui titoli bancari è già avvenuto un calo del 14%: se si verificasse una nuova perdita di un altro 5/10%, potrebbe rivelarsi vantaggioso acquistare. Anche perché, almeno a quanto ci si attende, le prossime trimestrali delle banche italiane dovrebbero rivelarsi molto positive.

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