Banche centrali, tornano i falchi
Jerome Powell ha affermato che la Federal Reserve potrebbe alzare ancora i tassi, se necessario. E Christine Lagarde ha dichiarato che la Bce non avvierà il ciclo di ribassi prima di sei mesi, e forse occorrerà ancora più tempo, non escludendo una nuova stretta “in caso di shock”. Tuttavia, almeno in Europa, nuovi rialzi sono impensabili. Ecco perché
Il punto settimanale di Carlo Vedani - AD di Alicanto Capital SGR - sulla situazione dei mercati finanziari.
La Federal Reserve è pronta ad alzare ancora i tassi di interesse se dovesse intravederne l'esigenza. E' questo il tono della nuova esternazione del suo presidente, Jerome Powell. Una posizione da “falco” subito condivisa dalla Bce, che – con le parole di Christine Lagarde – non procederà ad avviare il ciclo di ribassi per sei mesi, e forse anche di più. In compenso, ha aggiunto, “con nuovi shock dovremo riconsiderare i tassi”. Naturalmente verso l'alto.
In Europa non si fa
Dobbiamo preoccuparci? Non più di tanto, almeno per quanto riguarda l'Eurozona, Perché a queste latitudini è impensabile che i tassi vengano alzati ancora. Shock o non shock. L'economia sta soffrendo molto per la stretta monetaria, i livelli dell'industria europea non sono per niente buoni e ben pochi paesi chiuderanno l'anno con il segno più (tra questi, occorre dirlo, c'è l'Italia). Le reazioni a eventuali nuovi inasprimenti potrebbero quindi rivelarsi drammatiche: ciò, lo ripetiamo, rende praticamente impossibili ulteriori rialzi. In compenso, anche i dati sull'inflazione - che ormai sta scendendo sotto il 3% - oppongono un no secco a una simile ipotesi: persino il petrolio, che aveva destato preoccupazioni nella prima parte dell'autunno, è ora rientrato nei ranghi, navigando nuovamente intorno agli 80 dollari al barile. Che non ci siano timori di inflazione lo dimostra la quotazione dell'oro, tornata sotto i 2.000 dollari l'oncia nonostante le numerose e deflagranti tensioni geopolitiche nel mondo. L'unica preoccupazione potrebbe arrivare dal gas, attualmente di poco sotto i 50 euro al megawattora. Un valore alto, certo, ma non altissimo: il livello non è neppure minimamente paragonabile alle valutazioni a tre cifre che abbiamo dovuto sperimentare nel recente passato.
Borse giù, ma non troppo
Le reazioni delle Borse alle dichiarazioni di Jerome Powell e Christine Lagarde sono state, tutto sommato, moderate. Si sono verificate flessioni, e la scorsa settimana si è chiusa all'insegna della cautela (uniche aree in controtendenza, almeno a Piazza Affari, il settore assicurativo, le telecomunicazioni e il comparto energetico, nonostante il calo del petrolio). Ma tutto è apparso sotto controllo. Anche perché il ritorno dei “falchi” non è l'unica causa di questo trend al ribasso: la settimana precedente le Borse avevano chiuso con buoni rialzi, e un calo che permettesse ai listini di rifiatare era ampiamente atteso. Nessun timore, quindi: i mercati non credono in ulteriori balzi verso l'alto della politica monetaria. Ne è ulteriore riprova il valore dei tassi a breve dei titoli di stato, che restano elevati. Le Borse, insomma, si sono dimostrate forti: in caso contrario, non avrebbero potuto mantenere un trend di oscillazione normale in un'epoca in cui le guerre provocano disastri all'economia di tutto il mondo. Ora, a meno di avvenimenti clamorosi, i listini dovrebbero chiudere l'anno senza particolari stravolgimenti. Si attende, infatti, un fine 2023 di poco sopra i livelli attuali o, mal che vada, in una situazione di stabilità, ma non in flessione. Ancora una volta, quindi, meglio mantenere. E, nell'obbligazionario, è consigliabile allungarsi di duration sui bond: per il settore, il 2023 è stato un anno molto difficile, ma l'anno prossimo si preannuncia migliore.
L'anno d'oro delle banche
Anno d'oro invece per le banche, capaci di raccogliere 43 miliardi di utili. Una scommessa già vinta, quella degli istituti di credito: fin da inizio anno era chiaro che il settore fosse favorito dalla stretta monetaria, anche se pochi si aspettavano risultati così brillanti. Occorre anche ricordare che, da 15 anni a questa parte, le aziende di credito hanno dovuto fare i conti con gravi difficoltà nel chiudere i bilanci. Il momento felice del settore bancario, come è facile prevedere, dovrebbe proseguire fino a quando i tassi rimarranno alti – cioè per molti mesi.
I più short
A proposito di banche, un'analisi GraniteShares su dati WhaleWisdom rivela che allo scorso 6 novembre Montepaschi era il terzo titolo italiano più shortato con il 2,62% delle azioni in posizioni corte nette. A precedere la banca senese solo Saipem e Industrie De Nora. La scelta dei fund manager che hanno venduto allo scoperto Mps si è dimostrata davvero erronea e poco lungimirante: il Monte dei Paschi ha ottenuto ottimi risultati ed è salito dell'8%. Più in generale, quest'anno chi ha shortato le banche è stato molto improvvido: al contrario, quello del credito era il vero settore su cui investire. Due parole su Saipem, che ha occupato il primo posto in questa speciale classifica. La società, dopo i momenti difficili trascorsi negli ultimi due anni, ha ora buone commesse e una discreta redditività, che le permette di recuperare, pur in parte, la distruzione del capitale condotta negli ultimi dieci anni. Certo: la società ha perso circa il 97% del suo valore rispetto al 2012, ed è costata ai cittadini molti soldi. Ma il suo ruolo era troppo centrale per non procedere a un salvataggio. Chi ha scommesso contro Saipem non ha dato peso a questa considerazione.
Cina, nubi e ostacoli sulla strada della ripresa
Recentemente, il Fmi ha invitato le banche a investire in Cina, riconoscendo però i problemi attualmente attraversati dall'economia del Paese. Tuttavia, almeno finora, gli investitori restano lontani da Pechino, anche per l'opacità di questo mercato. La tanto ventilata ripresa cinese è, dunque, un percorso con tante nubi e vari ostacoli, non ultima l'attuale fase deflattiva. Per competere con gli Stati Uniti e divenire la prima potenza mondiale, la Cina dovrebbe aprirsi maggiormente alla trasparenza e recuperare posizioni in vari ambiti, non ultimo quello tecnologico. Necessario anche rivedere alcune scelte demografiche davvero discutibili, come le regole ferree sul numero dei figli concessi alle famiglie. Le limitazioni, chiamate “politica del figlio unico”, permettevano fino al 2013 un solo bambino per nucleo familiare, e tuttora prevedono multe salate per i genitori che scelgono di avere più di due figli. La strategia, evidentemente introdotta per evitare la sovrappopolazione, può sortire l'effetto opposto, con rischi di dimezzamento dei residenti e conseguente insufficienza di lavoratori. Una situazione che metterebbe a rischio l'economia cinese, allontanando il paese dalla lotta per la leadership mondiale.
Foto di Philip Brown su Unsplash

