Borse, dopo il maltempo torna il sereno

Il punto settimanale di Carlo Vedani – AD di Alicanto Capital SGR – sulla situazione dei mercati finanziari.

Scusate, abbiamo scherzato. Sembra questo il messaggio delle Borse europee che, dopo la tempesta della scorsa settimana, hanno poi imboccato la strada del recupero. Eppure, venerdì scorso i mercati del nostro continente avevano aperto con cali generalizzati (con l’eccezione di Parigi, ringalluzzita dal via libera al governo Lecornu), chiudendo poi con una timido recupero – anche grazie alle parole distensive di Donald Trump sulla Cina – ma sempre in perdita. Passato il week end, è avvenuta l’inversione a U, con cifre positive.

Difficile orientarsi

Non era, quindi, una correzione, ma un semplice calo causato dalla guerra commerciale sino-americana sui dazi. La dinamica mostra rotazione settoriale e trading range, con qualche scivolone. Questa situazione rende tuttavia difficile la scelta degli investitori. In condizioni simili è difficile orientarsi: non appena ci si muove, si rischia di sbagliare. All’orizzonte c’è poi l’imminente, gigantesco piano di spesa pubblica tedesca del 2026, che a breve potrebbe riorientare le Borse europee in senso più marcatamente positivo. Tutto questo mentre Wall Street recupera, spinto dai tecnologici, e il Nikkei 225 si impenna fino quasi a 50.000 punti dopo l’elezione di Sanae Takaichi a primo ministro giapponese, molto gradita ai mercati per la sua piattaforma di riforme sulla scia degli Abenomics.

Poche alternative all’azionario

Nonostante gli scivoloni e la volatilità alta, sembra che non ci siano grandi alternative all’azionario. Per questo motivo, gli investitori mantengono la loro presenza sui titoli in Borsa, accettando anche gli storni (come quello, severo, dello scorso aprile) e facendosi andar bene i periodi di volatilità. Il quadro attuale richiede comunque cautela: per il momento non ci sono grossi spunti, e questo consiglia di mantenere le posizioni attuali. Al momento, dopo aver – a lungo – performato meno rispetto all’Europa, Wall Street sembra attraversare un periodo positivo, con il nostro continente a traino: la causa è il momento particolare della rotazione settoriale, che sta premiando i tecnologici, su cui New York è particolarmente esposta. L’Europa, da parte sua, attende un ritorno delle banche, che hanno ripiegato (a Piazza Affari sono a circa -10% dai massimi).

La Cina è più vicina?

Le Borse hanno le antenne puntate sulle crisi geopolitiche, lo shutdown americano (che, secondo il direttore del National Economic Council, Kevin Hassett, potrebbe risolversi presto) e la guerra commerciale fra Stati Uniti e Cina, che ha causato lo scivolone poi riassorbito dopo molti giorni di arretramento. I colloqui in videoconferenza fra Scott Bessent e He Lifeng e le rassicurazioni emerse dalle due parti inducono a nutrire qualche speranza. I tavoli aperti sono numerosi, ma la vera questione sembra legata allo sfruttamento delle terre rare. E’ comunque legittimo nutrire un cauto ottimismo su una risoluzione positiva della crisi: Cina e Stati Uniti hanno bisogno l’uno dell’altra, e non possono permettersi di litigare sul serio.

Gimme shelter

Mentre le crisi belliche, commerciali e istituzionali provocano un “su e giù” in Borsa, gli stessi avvenimenti spingono in alto i beni rifugio. A cominciare dal franco svizzero, protagonista di un nuovo allungo su euro e dollaro. La moneta elvetica ha fatto segnare i massimi sulla moneta unica e la sua marcia sembra inarrestabile. Il trend preoccupa soprattutto l’economia svizzera e i Confederati, che non celano una certa sorpresa. L’approvvigionamento di franchi risponde al bisogno di beni rifugio, che in questo caso è amplificato dalle dimensioni ridotte della Svizzera. Il successo della valuta rossocrociata fa il paio con la ricerca dei buoni del tesoro di Berna, considerati particolarmente affidabili. Come da copione, anche l’oro continua a battere record su record: a mettere il turbo al metallo giallo sono ancora gli approvvigionamenti di Cina e India, che investono in un asset non a rischio di eventuali sanzioni. Nuovi primati anche per l’argento, che sta correndo da tempo.

Italia promossa con lode

Passiamo ora ai conti pubblici italiani, su cui il Fondo Monetario Internazionale ha espresso giudizi lusinghieri. Helge Berger, vicedirettore del dipartimento europeo Fmi, ha definito “impressionanti” i risultati sui conti pubblici tricolori, mentre il direttore Alfred Kammer ha espressamente parlato di una gestione “fantastica” del disavanzo. Due esternazioni sorprendenti, non tanto nel merito (il deficit italiano sul prodotto interno lordo si è fermato al 3%, contro il 3,3% previsto dal Fmi), ma nei toni utilizzati. Nel 2026, il rapporto debito/Pil dovrebbe attestarsi a 138% e calare al 137% nel 2030. Un grande risultato che è stato ottenuto forse sacrificando un po’ di crescita, ma tenendo la barra dritta sui conti pubblici. E’ curioso che l’Italia, che non molti anni fa sembrava in fallimento, oggi sia quasi vista come un paese virtuoso, pur con un debito maggiore e la crescita asfittica di pil. Al miglioramento dell’immagine dell’Italia non è estranea la corsa ad approvvigionarsi di buoni del tesoro, che si sta puntualmente verificando anche con l’emissione in corso di Btp Valore. Strumenti che, tra l’altro, hanno un rendimento mediamente maggiore rispetto alla media delle obbligazioni. La grande richiesta di questi prodotti dipende anche dalla strategia lanciata dal governo Draghi, e proseguita dall’esecutivo Meloni, di lavorare perché siano i cittadini italiani a detenere più debito possibile, piuttosto che le grandi istituzioni finanziarie.

Molti ostacoli per Lecornu

Mentre loda l’Italia, il Fmi redarguisce l’Europa, invocando riforme. Certamente il Belpaese non è più una delle preoccupazioni più importanti in tema di debito: ora il “grande malato” è la Francia, che a fatica cerca di introdurre nuove regole economiche per evitare il naufragio.
Sébastien Lecornu ha incassato il via libera dall’Assemblea Nazionale, con la promessa di non introdurre la riforma delle pensioni fino alle prossime elezioni presidenziali; tuttavia, la legge di bilancio non è ancora stata messa ai voti. Il sostegno dei socialisti, fondamentale per il futuro dell’esecutivo transalpino, è vincolato alle promesse del primo ministro: se gli impegni fossero disattesi, o se la riforma risultasse troppo dura per la classe lavoratrice, il Ps farebbe sicuramente mancare il proprio sostegno. Il compromesso fra il premier e i socialisti, insomma, non ha fatto che rimandare i problemi, che prima o poi dovranno comunque essere affrontati.

Foto di Alex Jackman su Unsplash


Crollo dei mercati dopo i nuovi dazi annunciati da Trump

Il punto settimanale di Carlo Vedani – AD di Alicanto Capital SGR – sulla situazione dei mercati finanziari.

Lo storno tanto atteso (e temuto) alla fine è arrivato. Le nuove dichiarazioni di Donald Trump sull’intenzione di imporre ulteriori dazi del 100% alle merci cinesi hanno infatti causato un forte arretramento di Wall Street, con ripercussioni altrettanto serie sulle Borse europee. La reazione di Pechino, che si è dichiarata disposta a “combattere fino alla fine”, ha fatto il resto.
L’ormai usuale mezzo passo indietro di Trump, esplicitato nella successiva dichiarazione “andrà tutto bene”, non ha ribaltato il trend dei mercati: gli indici non sono riusciti a mettersi alle spalle l’escalation che ha portato a una nuova crisi commerciale. O forse non hanno voluto farlo fino in fondo: il duello sino-statunitense è probabilmente una scusa presa dai listini per rifiatare, dopo un mese e mezzo di corsa sostenuta che però faceva fatica a trovare temi per sostenere un’ulteriore salita.

Non solo Cina

Non dimentichiamoci, poi, lo shutdown americano, una nuvola ben lungi dall’essere diradata. La chiusura delle attività governative Usa non essenziali influisce su Pil, comunicazioni al mercato e dati di occupazione statunitensi. Oltre che, in alcuni casi, anche sugli utili di qualche società. E’ pur vero che, solitamente, quando lo shutdown finisce avviene spesso un rimbalzo delle Borse; tuttavia, più lunga è la crisi, maggiori sono i problemi. In Europa ha probabilmente contribuito al trend borsistico anche la crisi di governo francese: contrariamente a quanto aveva dichiarato, Sébastien Lecornu ha accettato di formare un secondo governo, che presenterà una finanziaria più light rispetto alla precedente. In particolare, il premier ha deciso di rimandare la riforma delle pensioni fino alle prossime elezioni presidenziali, per ottenere il voto di fiducia dei socialisti. Un supporto che è essenziale per poter raccogliere il consenso dell’Assemblea Nazionale. Visti tutti questi problemi, si capisce quanto la correzione fosse nell’aria: il “venerdì nero” potrebbe esserne il punto di partenza. I listini sono ancora in sofferenza, mentre la volatilità è in aumento e il mercato mostra tutte le sue fragilità.

Beni rifugio

Per gli investitori si apre un periodo di scelte difficili. In generale, i prezzi più bassi offrono nuove opportunità di acquisto; tuttavia, è forse più consigliabile attendere una o due settimane, per capire se siamo di fronte a un calo temporaneo oppure a una correzione del mercato più seria e duratura. Difficile, ora, comprenderlo. Perché i problemi sono tanti, ma l’economia è ancora in buono stato. Sicuramente, a “fare 13”, come si usava dire una volta, sono stati gli investitori in oro e in argento. In questa lunga fase di incertezza, infatti, i due metalli hanno pienamente recuperato il ruolo di beni rifugio, salendo oltre il 70% e affermandosi – insieme al franco svizzero – come gli unici asset in grado di proteggere gli investitori. Oltre a ciò, l’argento ha anche un utilizzo industriale, il che riesce a supportarlo ancora maggiormente in caso di crescita. Per attraversare questo periodo di incertezza è quindi consigliabile estrema prudenza, giocandosi con molta attenzione i beni rifugio e cercando di alleggerire il portafoglio. Senza dimenticare di prestare molta attenzione alla rotazione settoriale, che ha visto i titoli precedentemente sugli scudi (come i finanziari o quelli legati al riarmo) in forte calo. Al momento ci sono alcuni settori che possono risultare interessanti: prima di tutto i minerari – il cui buon momento è legato ai nuovi record di oro e argento – e poi le utility, spesso indicate nelle fasi che necessitano di titoli difensivi. Come già detto, però, gli acquisti vanno pensati con molta cautela: sembra ancora presto per aumentare le proprie esposizioni, e chi può farà meglio ad attendere una manciata di giorni. Anche se alcuni singoli titoli, come Mps, hanno performato in controtendenza rispetto al loro settore, tornando a crescere.

Petrolio a rischio ribasso?

E il petrolio? Il petrolio è fermo nella fascia sotto i 70 dollari al barile, e neppure il processo di pace a Gaza sembra aver influito sulla sua quotazione. Il valore, di poco più basso rispetto alla fascia neutrale, sembra non volersi discostare dal suo attuale livello, molto più rassicurante rispetto ai picchi raggiunti dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Tuttavia, c’è un ma. Un prezzo che veleggia sui 65 dollari al barile è vicino ai 70, ma anche ai 60. Vale a dire che se, come qualcuno afferma, il greggio dovesse sfondare questo muro al ribasso, ci sarebbe da preoccuparsi, perché un petrolio troppo soft è sintomo di un indebolimento dell’economia.

Bond, boom domanda e offerta

Intanto è boom per le obbligazioni europee. I bond del nostro continente hanno stabilito un primato storico sia in termini di domanda, sia di offerta. Il motivo di questa situazione è semplice. La domanda record dipende dalla grande liquidità che c’è in giro; l’offerta ai massimi, invece, è causata dall’abbassamento dei tassi, per cui le aziende sfruttano le condizioni di mercato attuali per indebitarsi.

Golden power sotto accusa

Prosegue il duello fra la Commissione Europea e il governo italiano sul golden power. A breve (a quanto si ritiene, il prossimo mese) l’esecutivo di Bruxelles dovrebbe inviare due lettere a Roma, una delle quali conterrebbe una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia. Motivo: la legge sul golden power sarebbe contraria al diritto europeo e, secondo l’organismo di governo comunitario, dovrebbe essere modificata. “Ogni decisione che impedisca la creazione di un mercato unico dei servizi finanziari è motivo di preoccupazione“, ha detto chiaro e tondo Maria Luís Albuquerque, commissaria europea per i Servizi finanziari e l’Unione dei risparmi e degli investimenti. “Se qualcosa si metterà di mezzo, utilizzeremo gli strumenti a nostra disposizione per rimettere le cose sul binario giusto”. La posizione europea contrasta con quella del governo italiano che, per bocca del ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti, ha ribadito che la sicurezza nazionale è prerogativa dell’esecutivo. Scontato, quindi, il ricorso italiano a una procedura di infrazione europea, che potrebbe persino aprire a una pur poco probabile richiesta di danni da parte di Unicredit. In punto di diritto, le osservazioni della Commissione sono corrette. Ma fino a che punto si può limitare un governo nella tutela della sicurezza nazionale? Inoltre, sembra che l’Europa difenda i principi costitutivi in modo rigido con alcuni Paesi e più flessibile con altri: il dossier Commerzbank è lì a dimostrarlo.

Foto di Supradoc su Unsplash


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