Banche centrali, tornano i falchi
Jerome Powell ha affermato che la Federal Reserve potrebbe alzare ancora i tassi, se necessario. E Christine Lagarde ha dichiarato che la Bce non avvierà il ciclo di ribassi prima di sei mesi, e forse occorrerà ancora più tempo, non escludendo una nuova stretta “in caso di shock”. Tuttavia, almeno in Europa, nuovi rialzi sono impensabili. Ecco perché
Il punto settimanale di Carlo Vedani - AD di Alicanto Capital SGR - sulla situazione dei mercati finanziari.
La Federal Reserve è pronta ad alzare ancora i tassi di interesse se dovesse intravederne l'esigenza. E' questo il tono della nuova esternazione del suo presidente, Jerome Powell. Una posizione da “falco” subito condivisa dalla Bce, che – con le parole di Christine Lagarde – non procederà ad avviare il ciclo di ribassi per sei mesi, e forse anche di più. In compenso, ha aggiunto, “con nuovi shock dovremo riconsiderare i tassi”. Naturalmente verso l'alto.
In Europa non si fa
Dobbiamo preoccuparci? Non più di tanto, almeno per quanto riguarda l'Eurozona, Perché a queste latitudini è impensabile che i tassi vengano alzati ancora. Shock o non shock. L'economia sta soffrendo molto per la stretta monetaria, i livelli dell'industria europea non sono per niente buoni e ben pochi paesi chiuderanno l'anno con il segno più (tra questi, occorre dirlo, c'è l'Italia). Le reazioni a eventuali nuovi inasprimenti potrebbero quindi rivelarsi drammatiche: ciò, lo ripetiamo, rende praticamente impossibili ulteriori rialzi. In compenso, anche i dati sull'inflazione - che ormai sta scendendo sotto il 3% - oppongono un no secco a una simile ipotesi: persino il petrolio, che aveva destato preoccupazioni nella prima parte dell'autunno, è ora rientrato nei ranghi, navigando nuovamente intorno agli 80 dollari al barile. Che non ci siano timori di inflazione lo dimostra la quotazione dell'oro, tornata sotto i 2.000 dollari l'oncia nonostante le numerose e deflagranti tensioni geopolitiche nel mondo. L'unica preoccupazione potrebbe arrivare dal gas, attualmente di poco sotto i 50 euro al megawattora. Un valore alto, certo, ma non altissimo: il livello non è neppure minimamente paragonabile alle valutazioni a tre cifre che abbiamo dovuto sperimentare nel recente passato.
Borse giù, ma non troppo
Le reazioni delle Borse alle dichiarazioni di Jerome Powell e Christine Lagarde sono state, tutto sommato, moderate. Si sono verificate flessioni, e la scorsa settimana si è chiusa all'insegna della cautela (uniche aree in controtendenza, almeno a Piazza Affari, il settore assicurativo, le telecomunicazioni e il comparto energetico, nonostante il calo del petrolio). Ma tutto è apparso sotto controllo. Anche perché il ritorno dei “falchi” non è l'unica causa di questo trend al ribasso: la settimana precedente le Borse avevano chiuso con buoni rialzi, e un calo che permettesse ai listini di rifiatare era ampiamente atteso. Nessun timore, quindi: i mercati non credono in ulteriori balzi verso l'alto della politica monetaria. Ne è ulteriore riprova il valore dei tassi a breve dei titoli di stato, che restano elevati. Le Borse, insomma, si sono dimostrate forti: in caso contrario, non avrebbero potuto mantenere un trend di oscillazione normale in un'epoca in cui le guerre provocano disastri all'economia di tutto il mondo. Ora, a meno di avvenimenti clamorosi, i listini dovrebbero chiudere l'anno senza particolari stravolgimenti. Si attende, infatti, un fine 2023 di poco sopra i livelli attuali o, mal che vada, in una situazione di stabilità, ma non in flessione. Ancora una volta, quindi, meglio mantenere. E, nell'obbligazionario, è consigliabile allungarsi di duration sui bond: per il settore, il 2023 è stato un anno molto difficile, ma l'anno prossimo si preannuncia migliore.
L'anno d'oro delle banche
Anno d'oro invece per le banche, capaci di raccogliere 43 miliardi di utili. Una scommessa già vinta, quella degli istituti di credito: fin da inizio anno era chiaro che il settore fosse favorito dalla stretta monetaria, anche se pochi si aspettavano risultati così brillanti. Occorre anche ricordare che, da 15 anni a questa parte, le aziende di credito hanno dovuto fare i conti con gravi difficoltà nel chiudere i bilanci. Il momento felice del settore bancario, come è facile prevedere, dovrebbe proseguire fino a quando i tassi rimarranno alti – cioè per molti mesi.
I più short
A proposito di banche, un'analisi GraniteShares su dati WhaleWisdom rivela che allo scorso 6 novembre Montepaschi era il terzo titolo italiano più shortato con il 2,62% delle azioni in posizioni corte nette. A precedere la banca senese solo Saipem e Industrie De Nora. La scelta dei fund manager che hanno venduto allo scoperto Mps si è dimostrata davvero erronea e poco lungimirante: il Monte dei Paschi ha ottenuto ottimi risultati ed è salito dell'8%. Più in generale, quest'anno chi ha shortato le banche è stato molto improvvido: al contrario, quello del credito era il vero settore su cui investire. Due parole su Saipem, che ha occupato il primo posto in questa speciale classifica. La società, dopo i momenti difficili trascorsi negli ultimi due anni, ha ora buone commesse e una discreta redditività, che le permette di recuperare, pur in parte, la distruzione del capitale condotta negli ultimi dieci anni. Certo: la società ha perso circa il 97% del suo valore rispetto al 2012, ed è costata ai cittadini molti soldi. Ma il suo ruolo era troppo centrale per non procedere a un salvataggio. Chi ha scommesso contro Saipem non ha dato peso a questa considerazione.
Cina, nubi e ostacoli sulla strada della ripresa
Recentemente, il Fmi ha invitato le banche a investire in Cina, riconoscendo però i problemi attualmente attraversati dall'economia del Paese. Tuttavia, almeno finora, gli investitori restano lontani da Pechino, anche per l'opacità di questo mercato. La tanto ventilata ripresa cinese è, dunque, un percorso con tante nubi e vari ostacoli, non ultima l'attuale fase deflattiva. Per competere con gli Stati Uniti e divenire la prima potenza mondiale, la Cina dovrebbe aprirsi maggiormente alla trasparenza e recuperare posizioni in vari ambiti, non ultimo quello tecnologico. Necessario anche rivedere alcune scelte demografiche davvero discutibili, come le regole ferree sul numero dei figli concessi alle famiglie. Le limitazioni, chiamate “politica del figlio unico”, permettevano fino al 2013 un solo bambino per nucleo familiare, e tuttora prevedono multe salate per i genitori che scelgono di avere più di due figli. La strategia, evidentemente introdotta per evitare la sovrappopolazione, può sortire l'effetto opposto, con rischi di dimezzamento dei residenti e conseguente insufficienza di lavoratori. Una situazione che metterebbe a rischio l'economia cinese, allontanando il paese dalla lotta per la leadership mondiale.
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I tassi sempre più su
Le speranze di uno stop alla stretta monetaria sono state vanificate dai nuovi rialzi decisi dalla Banca Centrale Europea. “Ora non possiamo dire di essere al picco”, ha dichiarato apertamente la presidente Christine Lagarde, ma la recessione dilagante fa pensare che alla prossima riunione si deciderà la fine degli aumenti o almeno uno stop.
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Il nodo è stato sciolto: la Banca Centrale Europea ha nuovamente alzato (con decisione non unanime) i tassi di interesse degli ormai consueti 25 punti, segnando il decimo aumento consecutivo e stabilendo il record del 4,50%. Vane tutte le speranze in senso contrario: la maggioranza dei “falchi”, lungi dall’assottigliarsi in maniera determinante, ha nuovamente tirato fuori gli artigli. E questo nonostante la Germania sia già in recessione. Il motivo del rialzo è sempre lo stesso: “l’inflazione”, ha detto Christine Lagarde, presidente della Bce, “continua a diminuire, ma ci si attende tuttora che rimanga troppo elevata per un periodo di tempo troppo prolungato”. Il solito mantra è l’obiettivo del “2% nel medio termine”. La presidente Bce non ha escluso una pausa, ma ha lasciato le porte aperte anche a un nuovo rialzo: “ora non possiamo dire di essere al picco dei tassi", come dichiarato senza mezzi termini, rispondendo a una domanda in conferenza stampa.
Crescono i malumori
La decisione della Banca Centrale Europea ha lasciato scontenti molti esponenti del mondo economico e politico. Tra gli addetti ai lavori sta girando una battuta sarcastica: “la Bce ha rivisto al ribasso le previsioni sull'economia e per essere sicura di centrare le previsioni ha alzato ancora i tassi”. Scherzi a parte, il consiglio dell'istituto centrale è composto da persone competenti: per questo motivo, è più che lecito chiedersi perché, pur conoscendo bene la stagnazione attuale dell'economia europea, prosegua imperterrito ad avvitare i bulloni della stretta monetaria. La prosecuzione dei rialzi mette in difficoltà tutti i paesi, in particolare quelli più indebitati, creando nuovi rischi di tenuta (e, forse, persino di sopravvivenza) per l'euro. All'Italia, in particolare, la stretta monetaria costerà 12 miliardi nel 2023, e 18 l'anno prossimo. Grandi società internazionali, come Goldman Sachs e Morgan Stanley, iniziano già a prevedere una salita dello spread, resa ancora più probabile dallo stop all'acquisto di titoli di stato italiani da parte della Bce.
Tassa sulla povertà
Oltre a questo, gli interessi alti sono anche una tassa sulla povertà: i più abbienti possono permettersi di investire il loro denaro ricevendo interessi sicuri da conti deposito, titoli di stato o obbligazioni, mentre quelli con difficoltà economiche non ne hanno l'opportunità. In compenso, questi ultimi devono fronteggiare un'inflazione sferzante, acuita dal recente rialzo del petrolio. Il greggio, anche per l'accordo tra Russia e Arabia Saudita in ambito Opec+, sta ormai galoppando verso quota 100, portando nuovi aumenti su molti prodotti al dettaglio, oltre che sul costo dei trasporti su gomma. E mettendo a serio rischio-crollo la produzione industriale europea. Nonostante i dieci rialzi consecutivi dei tassi, l'euro flette sul biglietto verde. L'incremento del valore del dollaro sulla nostra moneta dipende anche dalla crescita della ricchezza di famiglie e privati americani, nonostante l'esplosione del debito che ha recentemente portato al rischio di blocco di tutte le attività pubbliche. In aggiunta, gli Usa possono sopravvivere con il solo mercato interno, dispongono di materie prime e battono la valuta di riferimento per il mercato mondiale. Un vantaggio non da ridere, anche in presenza di un debito molto alto.
Forse non sarà domani. O forse sì
Considerata la posizione di Christine Lagarde e l'insistenza del consiglio su una linea incapace di cambiare strategie in corsa, è lecito domandarsi quando la Banca Centrale avrà il coraggio di invertire la marcia. Tutto è possibile, soprattutto esaminando la rigidità dei “falchi”. Tuttavia, è sensato pensare che questo aumento dovrebbe essere l'ultimo. O, almeno, che la Bce segua l'esempio della Fed e conceda un po' di respiro all'economia, optando per una pausa. Le pressioni in questo senso sono sempre più frequenti. Non per niente, rumours ricorrenti parlano di un ritorno di Mario Draghi in un ruolo europeo. L'ex presidente Bce, ricordiamolo, è l'uomo del whatever it takes, strategia del tutto opposta a quella attuale, che sembra disinteressata ai paesi con debito pubblico alto e, di riflesso, ai destini dell'euro.
Patto di stabilità: l'urgenza di una riforma
La crisi che morde rende oltremodo necessario che le trattative per la riforma del Patto di Stabilità vadano avanti spedite, accantonando le rigidità degli anni passati. I paesi membri dell'Ue hanno espresso il proposito di cambiare le regole entro fine anno, mentre gli ottimisti sperano di chiudere la partita già a fine ottobre (“il 70% del testo della nuova regolamentazione è più meno accordato”, ha detto Nadia Calviño, ministro dell'Economia e dell'Industria del governo spagnolo). Tutti sembrano voler evitare il ritorno alle vecchie regole, che con l'economia in recessione, l'inflazione e i paesi indebitati a rischio potrebbero avere conseguenze devastanti. E anche influire sulle elezioni europee, aprendo a uno scenario che sicuramente non piace agli attuali membri della Commissione.
Sorpresa Borse
In tutta questa situazione come hanno reagito le Borse? Sorprendentemente bene. Nonostante il rialzo dei tassi, infatti, i listini europei sono saliti; in particolare, Piazza Affari ha chiuso la scorsa settimana con una crescita di oltre il 2%. La riapertura di lunedì scorso ha poi evidenziato un arretramento, ma i mercati tutto sommato tengono, anche se quelli americani sembrano attualmente più resistenti. In ogni caso - nonostante la recessione, la scarsità di idee che emerge in questo periodo e l'atavica tendenza all'arretramento di settembre e ottobre - il mercato sembra non aver voglia di scendere. A questi prezzi, è quindi consigliato mantenere le posizioni, puntando soprattutto sui petroliferi come titoli difensivi, su qualche farmaceutico e ancora sulle banche. Il motto è: non mettere e non togliere: al limite, spostare, ma non di molto.Dal lato obbligazionario sono invece interessanti, nonostante il rialzo dei tassi, i bond a cinque anni di durata, che restituiscono più dell'inflazione attesa.
Euro digitale
Nel mentre, la Commissione Europea sta preparando l'introduzione dell'euro digitale, che non è altro che la versione virtuale dei contanti, garantita dall'Eurotower e scambiabile con il cash a valore nominale, senza commissioni (il che lo differenzia dalle carte di pagamento). Il progetto, che potrebbe essere operativo entro cinque anni, divide le banche europee, ma è talmente sentito da convincere la Bce a nominare, come membro italiano proprio un superesperto in valuta digitale, Pietro Cipollone, al posto di Fabio Panetta, che dal prossimo 1 novembre si insedierà a Palazzo Koch come governatore della Banca d'Italia. Il progetto non è una grande rivoluzione, avendo comunque dinamiche simili a quelli delle carte di pagamento; tuttavia c'è spazio anche per preoccupazioni legate alla privacy dei dati e alla possibilità, da parte delle autorità, di controllare i comportamenti dei cittadini o addirittura di bloccare la possibilità di utilizzare il denaro. Certamente, l'euro digitale è un alleato per prevenire le frodi, ma a condizione che si eviti la perdita di libertà e di privacy per i cittadini.
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Preoccupazioni dal caso Blackstone
Il default dichiarato dalla società americana su un'obbligazione finlandese genera molti timori. L'insolvenza potrebbe infatti essere la prima di una serie, sia in America del Nord, sia in Europa. Con notevoli conseguenze sul settore bancario e a cascata sull'intera economia. La vicenda mostra quanto sia pericoloso affrontare l'inflazione con un rialzo troppo elevato dei tassi
Il punto settimanale di Carlo Vedani - AD di Alicanto Capital SGR - sulla situazione dei mercati finanziari.
La scorsa settimana, il caso Blackstone ha scosso il mercato immobiliare. La società finanziaria newyorkese ha infatti dichiarato default su un bond coperto da un portafoglio immobiliare, composto da negozi e uffici della finlandese Sponda Oy. La società nordica non è stata in grado di rimborsare l'obbligazione, costringendo Blackstone a bloccare il rimborso dei fondi, per un'inadempienza di 531 milioni di euro. A farne le spese saranno, come spesso accade, i risparmiatori. Blackstone non rischia quasi nulla: gli avvocati della società finanziaria americana dimostreranno che i contratti sono adeguati alle normative e che il fondo ha agito in qualità di advisor, senza responsabilità in proposito.
Campanello d'allarme
La vicenda attiva però un grosso campanello d'allarme: fa temere che questo default possa rappresentare solo la prima di molte insolvenze di questo tipo, sia in America del Nord, sia in Europa. E mostra tutti i rischi di una politica di lotta all'inflazione condotta solo e unicamente con un rialzo elevato e continuo dei tassi. Questa strategia, seguita sia dalla Fed, sia dalla Bce, ha un impatto sull'intera componente immobiliare. E, di conseguenza, mette sotto stress i fondi real estate, in cui sono impiegate somme enormi. In questo caso, è stato sufficiente che gli investitori chiedessero a Blackstone rimborsi sulle obbligazioni cartolarizzate per far saltare tutto il meccanismo. Si teme, insomma, una situazione persino più pericolosa rispetto al crack 2008. Situazione che naturalmente investe anche i privati cittadini. Un esempio: in Italia, in un anno, la rata di un mutuo a tasso variabile di 125.000 euro con durata 25 anni è salita da 456 a 637 euro al mese. Un vero salasso, che si aggiunge al caro bollette e riscaldamento. E le autorità di controllo? Reagiscono con moniti. Come quello di Christine Lagarde, che ha chiesto alle banche di rinegoziare i mutui variabili. Cosa che finora – almeno a quanto ci è dato di sapere - gli istituti di credito non hanno fatto. Tutto questo avviene mentre le banche centrali non mostrano nessun ripensamento nella politica del rialzo dei tassi. In particolare, la Bce ha già annunciato i prossimi, graduali rialzi: secondo l'Eurotower, l'inflazione sta sì scendendo, ma non a sufficienza per fermare la strategia imboccata con decisione negli ultimi mesi.
Borse, Milano non si ferma più
Settimana invece positiva per i mercati. Trainata dalla buona performance dei listini americani, che ha regalato agli investitori persino un rimbalzo del settore tecnologico, la Borsa di Milano ha chiuso con un buon 1,56%, che porta i dati dell'ultimo semestre a +27%. Difficile prevedere i movimenti del prossimo futuro. Ma, prima di assistere a uno storno, è facile che si verifichi una nuova gamba di rialzo. Per questo motivo sembra ancora consigliabile mantenere le posizioni, fino agli eventuali primi segnali negativi. È comunque saggio attendere le prossime riunioni delle banche centrali, dopo le quali sarà più semplice prendere una decisione. Oltre che dalle Borse di oltre oceano, la buona chiusura dei listini italiani è stata spinta dall'economia reale e, ancora una volta, dalle banche, favorite dal rialzo dei tassi, che hanno fatto crescere gli interessi passivi. Mentre, per la verità, non è ancora avvenuto un adeguamento di quelli attivi, rimasti a zero, né un calo delle commissioni. Tutto ciò mentre in Italia si sta discutendo il rinnovo del contratto collettivo nazionale dei dipendenti bancari. È proprio in questo scenario che si è verificata la clamorosa rottura tra Intesa Sanpaolo e Abi al tavolo di contrattazione. La cesura non è definitiva: in altri termini, Cà de Sass non esce dall'associazione bancaria, ma tratterà al tavolo per conto suo. Senza mediazioni. Nonostante ciò, la “mezza rottura” è un segnale molto forte, che può essere paragonato all'uscita di Fiat da Confindustria. I numeri, però, rendono la spaccatura dei giorni scorsi molto più problematica: sul numero dei dipendenti in relazione al totale, Intesa Sanpaolo conta molto di più della ex Fiat, dato che impiega circa il 20% dei lavoratori del settore. Detto questo, il colosso del credito, pur uscito dalla rappresentanza Abi al tavolo delle trattative, dovrà comunque proseguire a trattare con le parti sociali.
Braccio di ferro per Tim
Dopo il picco del 6 marzo, sta veleggiando in acque alte il titolo Tim, azienda che è al centro di un braccio di ferro fra due cordate di compratori. Dopo l'offerta di Kkr è stata la volta di Cdp Equity, insieme a Macquarie Asset Management, che ha superato la somma messa nero su bianco dall'operatore di private equity, mettendo sul tavolo oltre 20 miliardi. L'offerta, recita una nota della stessa Tim, “sarà sottoposta all’esame preliminare del Comitato Parti Correlate, ai sensi della normativa applicabile a Cdp Equity, quale parte correlata di Tim e sarà, a seguire, portata all’attenzione del consiglio di amministrazione, ove possibile nella riunione già programmata per il 15 marzo 2023 o in un'altra data da definire”. L'esito della contesa è incerto ed è lo scontro fra due modelli: uno (Kkr) che obbedisce solo a logiche di mercato, l'altro che vedrebbe lo stato, mediante Cdp Equity, tornare in possesso almeno parzialmente di beni cruciali, che negli ultimi 20 anni sono stati oggetto di massicce privatizzazioni. Nella vita di un paese la rete, è fin troppo banale ricordarlo, è un asset strategico, perché chi ne è in possesso controlla la vita dei cittadini. Soprattutto in un'epoca come la nostra, in cui le comunicazioni digitali, oltre che telefoniche, pervadono l'intera economia, rendendo la rete un asset delicatissimo. L'intervento di Cdp Equity sottintende proprio questa esigenza: di salvaguardare, con un controllo diretto della rete, la vita di famiglie e aziende. Proprio per questo, il fronte politico è abbastanza coeso e sembra che maggioranza e opposizioni marcino verso lo stesso obiettivo. Ciò che è importante è che lo stato torni in controllo della rete. Poi, il settore pubblico potrà decidere di tenere per sé anche la parte operativa oppure scorporarla, come è accaduto per Terna e Snam. Fra pochi giorni avremo tutti le idee più chiare.
Gas: per la Commissione Ue il suo prezzo è ancora “gonfiato”
Il petrolio resta ancora a livelli di guardia: il rimbalzo del prezzo del greggio sta iniziando ad assomigliare sempre più al Godot di Samuel Beckett. Il mancato rialzo, che fa sicuramente bene all'economia reale, potrebbe dipendere anche dal ritardato (o mancato, fate voi) impulso di ripresa cinese che era ampiamente atteso. Ottime notizie anche sul fronte gas, che sembra avviarsi verso la barriera dei 40 euro al megawattora. Non ancora sufficiente, però, per tornare a livelli più consoni. Non per niente Maroš Šefčovič, vicepresidente della Commissione Ue, ha dichiarato "Il prezzo del gas è gonfiato, è superiore di sette volte a quello degli Usa". Ecco: magari non di sette volte, ma sicuramente di un valore compreso fra tre e cinque. E il motivo travalica la crisi post-Covid e la guerra russo-ucraina: gli Stati Uniti, in barba a protocolli ambientali, sono autosufficienti, diversamente dalla catena di approvvigionamenti europea. Oltre a quello, c'è la nota speculazione sulla Borsa di Amsterdam, dove si forma il prezzo del gas con criteri non completamente controllabili.
Auto elettrica, decisione rinviata
Nel mentre, il voto dei rappresentanti permanenti sullo stop alla vendita di nuove vetture endotermiche dal 2035 è stato rinviato. A manifestare posizioni contrarie o scettiche sull'addio a benzina e diesel sono stati quattro stati membri: Polonia, Bulgaria, Germania e Italia. A questa posizione, a quanto si dice, sarebbero pronti a unirsi altri stati, finora timidi o timorosi di esprimersi. I problemi che si potrebbero creare con uno stop così radicale sono ben noti: costi alti, colossi automotive europei in crisi e perdita di posti di lavoro, consegna di fatto del settore mobilità nelle mani della Cina, costi di ricariche e riparazioni, durata delle batterie, lunghezza dei rifornimenti, inadeguatezza delle reti elettriche, inquinamento molto alto per lo smaltimento delle batterie (di cui, tra l'altro, non parla nessuno). Inoltre, una situazione del genere costringerebbe i cittadini di un intero continente a cambiare auto in massa. Attualmente il paese con più auto elettriche è la Norvegia, dove circolano meno di 3 milioni di veicoli e le e-cars sono circa il 18%. Il rinvio del voto rimette in gioco una decisione che sembrava già acquisita. La riflessione potrebbe portare a fare un passo indietro e revocare i divieti, creando una sana competizione fra elettrico e combustibili tradizionali, che la ricerca potrebbe cercare di “ripulire” un po' dalla loro carica inquinante. Probabilmente, la discussione si trascinerà fino alla scadenza elettorale del 2024.
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Usa, le elezioni non fermano il rimbalzo
Negli Stati Uniti, le consultazioni di “mid term” sono ancora in bilico. Ma qualsiasi risultato non dovrebbe frenare la ripresa dei mercati, che è proseguito nonostante il rialzo dei tassi. Ottimi dati, invece, dall'economia italiana: il terzo trimestre vede una crescita, trainata dal turismo
Il punto settimanale di Carlo Vedani - AD di Alicanto Capital SGR - sulla situazione dei mercati finanziari.
Le elezioni di mid term americane sono ancora in bilico. Mentre la Camera dei rappresentanti sembra procedere verso una maggioranza repubblicana – ma meno ampia del previsto – il Senato (che rinnova solo un terzo dei suoi membri) si sta giocando seggio per seggio. I risultati ufficiali potrebbero essere noti fra alcuni giorni: sono probabili ricorsi e richieste di riconteggi, soprattutto se i collegi incerti dovessero mostrare maggioranze sul filo di lana.
Due strade aperte
Ciò che è quindi impossibile è una vittoria netta di uno dei due partiti. Un'affermazione democratica era ritenuta molto difficile, mentre è ancora possibile la conquista, da parte dei repubblicani, di entrambe le camere (anche se, come visto, con una maggioranza risicata in Senato). In questo caso, l'agenda Biden perderebbe forza e il presidente – pur con diritto di veto - dovrebbe accettare compromessi, soprattutto sulla spesa pubblica “a pioggia” attivata per le conseguenze della pandemia. Più ardua, in caso di doppia vittoria repubblicana, la marcia forzata verso l'abbandono delle energie fossili, mentre sarebbero forti le pressioni nei confronti della Fed per un’inversione di tendenza sui tassi. Possibile anche un parziale disimpegno sulle armi all'Ucraina, o almeno una richiesta di rendiconto da parte di Kiev.
Se invece il Congresso risultasse diviso, i cambiamenti possibili sarebbero minori. La situazione potrebbe piacere al mondo del business, che di solito apprezza la soluzione split, foriera di minori trasformazioni dal punto di vista economico.
I tassi contano di più
Dal lato mercati, tuttavia, non cambierà moltissimo; chiunque sia il vincitore, il rimbalzo dovrebbe proseguire senza particolari problemi. Un po' perché, se si guarda agli Stati Uniti, le elezioni del Presidente hanno un impatto maggiore sull'economia piuttosto che il rinnovo delle camere. E un po' per le dinamiche fatte registrare dai mercati: il rimbalzo di ottobre è infatti proseguito persino in un contesto di continui aumenti dei tassi operati dalla Federal Reserve. Anche se, è bene ricordarlo, di solito gli effetti di queste operazioni sul costo del denaro non hanno conseguenze immediate, ma iniziano ad avere effetto dopo almeno uno o più trimestri.
Nessuno può prevedere in che condizioni sarà l'economia americana fra tre mesi. Ma fa ben sperare la dichiarazione di Jerome Powell, presidente della Fed, che ha annunciato un probabile stop ai rialzi dei tassi. Una decisione che avrà un ruolo molto importante nell'andamento dei listini.
Il mercato americano, dunque, guarda più alle decisioni della Federal Reserve che non ai risultati delle elezioni di medio termine. Piuttosto, il ricambio delle camere ha spesso confermato (o innescato) rialzi, indipendentemente dall'esito rivelato dalle urne. E questo è un ulteriore elemento che fa ben sperare.
La riscossa dell'obbligazionario
Sia però chiara una cosa: quando parliamo di “rimbalzo di ottobre”, ci riferiamo a una crescita dei mercati dal -25% al -16%. La strada, dunque, è ancora lunga, anche se – è bene ricordarlo – la ripresa ha creato nuove opportunità di investimento. Nell'azionario, ma anche nell'obbligazionario. Ora è possibile scegliere bond che rendono mediamente dal 5% al 7%, con punte ancora più alte. È il caso di alcuni titoli bancari (anche italiani) o di società d’oltre oceano attive sulle materie prime, che attualmente assicurano una performance dell'8%.
Il petrolio torna a salire...
Il prezzo del petrolio intanto è tornato a crescere. Dopo essere calato sotto l'asticella dei 90 dollari, ora sembra aver recuperato l’impeto rialzista. Le politiche improntate al calo della produzione caldeggiate dall'Arabia Saudita (e appoggiate anche dalla Russia) hanno dunque influito sul prezzo, nonostante l'utilizzo delle riserve strategiche americane da parte dell'amministrazione Biden, vero e proprio freno a mano ai prezzi utilizzato a fini essenzialmente elettorali.
Ora però, a urne chiuse, le riserve strategiche dovranno essere ricostituite, almeno in parte. Questa politica causerà quasi sicuramente un ulteriore rialzo del prezzo del greggio, che potrebbe superare nuovamente quota 100.
… e il gas scende
Sale il petrolio, scende il gas. Il prezzo del metano, pur più alto rispetto agli anni scorsi, è tornato a valori più sopportabili, nonostante l'inerzia da parte delle autorità europee. Ad abbattere la domanda (e le tariffe) sono state niente altro che dinamiche di mercato: il quasi completamento degli stoccaggi da parte dei paesi europei, le temperature autunnali molto clementi e, purtroppo, la chiusura di varie aziende, causata proprio dai rincari delle bollette precedenti.
Resta però aperto il nodo dello stop alla vendita di automobili a benzina che, per decisione dell'Unione Europea, partirà nel 2035. I problemi, già ampiamente sottolineati, riguardano la distruzione di un'industria europea particolarmente forte come quella dell'automotive e le incognite legate al prezzo dell'energia (meno controllabile, come abbiamo visto ultimamente, rispetto a quello del petrolio). A queste incognite se ne aggiunge una terza: in tutta probabilità, sarà solo l'Unione Europea ad applicare questa misura drastica. Tre subcontinenti come Stati Uniti, India e Cina andranno avanti con la vendita delle automobili endotermiche. Rendendo l'operazione inutile per l'ambiente e dannosa per la competizione fra le aziende europee e quelle del resto del mondo.
Il turismo traina la crescita
Sul fronte economico interno continuano le notizie positive: l'Italia ha archiviato dati provvisori molto buoni per il terzo trimestre. Rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, l'incremento si è attestato sulla percentuale del 2,6% e quello raggiunto nel corso dell'anno del 3,9%.
Un grande contributo a questi risultati, per molti versi inattesi, è stato fornito dal turismo, e non solo quello di prossimità: nel corso di quest'anno si sono registrati anche grandi flussi di vacanzieri da Stati Uniti, Gran Bretagna e Cina, che hanno colmato le assenze forzate dei turisti russi.
Per questo motivo, la clamorosa scoperta di 24 statue etrusche e romane a San Casciano dei Bagni, oltre a rivelarsi un tesoro inestimabile dal punto di vista culturale, avrà conseguenze molto positive sull'economia italiana. Il nostro “petrolio” è costituito dalla storia e dal patrimonio artistico, monumentale e paesaggistico che ogni singola area geografica del paese può offrire: la sfida è riuscire a utilizzarlo anche come carburante per una nuova crescita economica.
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