Prosegue la rotazione settoriale: ora sorride il settore assicurativo
Mentre la Borsa di Milano chiude in attivo, ma sempre in un'ottica di trading range, a fare la fiammata è Unipol, con un balzo del 21%. Con la fusione interna, il gruppo bolognese accorcia la catena di comando e rinforza le difese per evitare eventuali scalate ostili, offrendo soddisfazione ai suoi investitori. Soffre Eni, che però ha ottime prospettive di rilancio
Il punto settimanale di Carlo Vedani - AD di Alicanto Capital SGR - sulla situazione dei mercati finanziari.
Subito dopo il balzo dell'1,15%, che l'ha portata a 31.685 punti (sui livelli di giugno 2008), la Borsa ha chiuso la scorsa settimana su toni cauti, influenzata (come gli altri listini europei) anche dal rallentamento di Wall Street che ha indebolito tutti gli indici europei. Piazza Affari ha comunque riportato un +2,2% settimanale, il miglior dato in Europa. Tuttavia, stiamo parlando di movimenti che non discostano Milano da un trend all'insegna di trading range e rotazione settoriale. Che rende difficile identificare un settore su cui puntare.
Chi ride e chi no
Questa volta è stato il mondo assicurativo a sorridere, grazie al +21% di Unipol; il gruppo bolognese, con l'acquisizione interna di UnipolSai, accorcia la catena di comando e rinforza le difese per evitare eventuali scalate ostili. Ottenendo il plauso del mercato e soddisfazioni per i suoi investitori. Eni invece cala, a causa del -66% di utili 2023. Nessun allarme, però: in generale, i gruppi energetici e petroliferi, che oggi sembrano in difficoltà, potrebbero restituire ottimi dividendi la prossima primavera. E dare un po' di respiro agli investitori.
Inflazione americana
A influenzare (anche se non in maniera così drammatica) le Borse sono stati i dati di gennaio sull'inflazione americana, pubblicati dal Bureau of Labor Statistics: i risultati hanno evidenziato che l'indice dei prezzi al consumo su base annua è salito del 3,1%, contro il 2,9% previsto di mercati, mentre l'indice core, che esclude cibo ed energy, è cresciuto del 3,9%, contro le attese del 3,7%. In teoria, questi sono piccoli aggiustamenti, e i discostamenti dalle previsioni, quando si tratta di pochi decimi di punto, non influiscono più di tanto. Nonostante questo, i dati potrebbero dare alla Federal Reserve l'idea di rinviare il taglio dei tassi. Ciò significa che quasi sicuramente Jerome Powell attenderà alcuni mesi prima di iniziare la riduzione del costo del denaro. D'altra parte – lo si sapeva già - la discesa delle percentuali Fed è praticamente impossibile prima di giugno. Non solo: la Bce potrebbe anticipare la consorella americana nell'avvio di questa operazione.
I cinesi tagliano
Per ora è la Banca centrale cinese a tagliare i tassi: non succedeva dallo scorso agosto. Vedremo quanto la decisione macroeconomica di Pechino influirà sulle Borse mondiali. Sicuramente, le autorità monetarie cinesi stanno cercando di fermare, o almeno rallentare, la deriva economica con una mossa che cerca di dare sollievo a un mercato immobiliare in crisi. L'operazione da sola non basta per invertire la rotta, ma è probabilmente necessaria almeno per correre ai ripari. Tutto ciò mentre Pechino prosegue la sua politica di accaparramento di materie prime da un lato, e il suo wording aggressivo con Taiwan dall'altro. Entrambe le mosse (soprattutto la seconda) sono una dimostrazione di debolezza. Economica e politica.
Petrolio a zig zag
Il petrolio ha mostrato un andamento altalenante e, dopo un picco, ha subito un calo. Ma resta sempre a ridosso delle due fasce, quella di sicurezza (70-80 dollari al barile) e la successiva (80-90), anche con disallineamenti tra Brent e Wti. I metalli invece sono nel mezzo di un trading range molto stretto: il loro prezzo riflette una domanda scarsa dell'industria, dovuta alla crisi dei giganti europeo e cinese, con annessi pericoli di stagnazione. L'oro rimane appena oltre quota 2.000, ma oggi come oggi non sembra un investimento troppo conveniente. Per esserlo dovrebbe rendere più del 3,5% (tasso composto dalla performance attuale del Bund e l'1% annuo di mantenimento). Con il calo dell'inflazione, poi, sembra più conveniente mantenerne una quantità minima, ma come “assicurazione” contro eventuali episodi di volatilità causati da crisi geopolitiche.
Juventus in perdita
Sul fronte sportivo, si osserva che la Juventus ha annunciato un bilancio del primo semestre dell'esercizio 2023/24 in perdita di 95,1 milioni di euro, in peggioramento al rosso di 29,5 “consuntivata nel primo semestre dell’esercizio precedente”, afferma una nota del club bianconero. Una perdita che praticamente triplica i passivi precedenti e, prosegue il comunicato, dipende per 60 milioni circa “dagli effetti diretti correlati alla mancata partecipazione della prima squadra alle competizioni Uefa”. In pratica, la Juventus ha già giocato il suo jolly, l'aumento di capitale che, a quanto si vede, non è stato sufficiente per intaccare il rosso. La risposta a questi dati dovrebbe risiedere in un organico fair play finanziario: da un lato non c'è più posto per affari milionari come l'acquisto di Cristiano Ronaldo; dall'altro occorre gestire in maniera massiccia il mercato in uscita. Come ha fatto il Napoli che, fresco di scudetto (e di qualificazione Champions) ha ceduto Kim al Bayern. Risultato, gli azzurri sono la miglior squadra italiana per bilanci: secondo una proiezione riportata dalla Gazzetta dello Sport, con i suoi 123 milioni di euro, il Napoli sarebbe addirittura il club con il secondo miglior utile d'Europa, dopo il Manchester United. Certamente, quest'anno le prestazioni sportive dei partenopei lasciano a desiderare, ma ciò dipende da altri fattori, dato che la gestione del mercato in uscita non ha impedito alla squadra di rimanere quasi intatta.
Buyback
Un commento di Schroders ha evidenziato che il fenomeno dei buyback è in piena salute, e non solo negli Stati Uniti: soprattutto nel 2022, ma anche nel 2023, le aziende britanniche hanno riacquistato i loro titoli in modo ben maggiore rispetto al solito. Questo trend, prosegue Schroders, è in crescita in Europa, ma non soltanto: i buyback sono infatti aumentati tra le grandi imprese francesi e tedesche, ma anche giapponesi. E il divario tra Stati Uniti (storicamente molto più attivi nel riacquisto di azioni proprie) e resto del mondo si sta assottigliando. Questi fenomeni accadono quando i consigli di amministrazione vedono una decisa sottovalutazione dei titoli rispetto al minimo del mercato. Un esempio: se Eni vale sette volte gli utili, ogni investimento di 100 euro ne restituirà 13 a fine anno. In un mercato normale, questo 13% resta in tasca, anche in presenza di volatilità. Con un guadagno che rende valori multipli rispetto al Bund tedesco.
Nuovo scalo aereo
Sul fronte dei trasporti, sbarca a Milano un nuovo brand aereo: BeOnd, compagnia che offre ai suoi passeggeri solo viaggi in classe premium. La società, che da novembre offre già voli da Monaco, Zurigo e Riad a Malé (Maldive), opererà dunque sui cieli sopra la metropoli ambrosiana, ma anche da Bangkok e Dubai. La notizia dimostra che Milano è ancora in grado di destare attenzione e attirare i capitali: è pur sempre la capitale della moda e del lusso, e una delle città leader nell'arte, nella musica e nel design. In attesa, naturalmente, di capire quale sarà l'impatto dei prossimi Giochi Olimpici Invernali.
Ita-Lufthansa, corsa a ostacoli
Sempre parlando di traffico aereo, c'è però una notizia non positiva. L'Antitrust Ue ha infatti posto le sue condizioni per l'avvio operativo della nuova Ita targata Lufthansa. Condizioni che molti hanno definito draconiane: le proposte già avanzate dalla compagnia tedesca, che ha acquisito il 41% di quella italiana, con un piano che la vedrà crescere fino al 100%, sono state definite insufficienti, e integrate con nuovi obblighi. Tra questi, la cessione di slot e di rotte, anche nordamericane (in questo viene coinvolta anche United, perché partner di Lufthansa nel programma fedeltà e di codeshare Star Alliance), ma anche l'assistenza alle compagnie aeree che subentreranno. Con tanto di servizi di assistenza per i passeggeri a terra di questi vettori concorrenti, accesso alle lounge e codeshare (nonché accumulo di miglia) con voli Star Alliance. E' quest'ultimo obbligo – quello non solo di abbandonare gli slot, ma di aiutare compagnie aeree concorrenti – che non piace ai due vettori, tanto più che coinvolge anche società extra-europee, quindi più difficili da inglobare nell'accordo. Alla fine, è probabile che venga raggiunto un compromesso accettabile – si spera, con benefici per il consumatore: occorrerà evitare che, come è successo negli anni passati, le tariffe vadano a raddoppiare o triplicare, in nome magari di una malintesa idea di concorrenza.
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Forte calo di Tesla: dobbiamo preoccuparci?
L'azienda di Elon Musk ha arretrato il margine lordo dal 19,3% al 18,1%, cioè ai livelli più bassi dal 2019. Il tonfo in Borsa del titolo ha sfiorato il 10%. Ma, se guardiamo i valori a lungo termine...
Il punto settimanale di Carlo Vedani - AD di Alicanto Capital SGR - sulla situazione dei mercati finanziari.
Primi dati del secondo trimestre 2023 per le aziende quotate americane. Ad aprire il giro dei numeri sono state Netflix e Tesla, che hanno entrambe deluso le aspettative. La società di intrattenimento e film in streaming ha ottenuto una crescita più debole del previsto - con annesso calo in Borsa - nonostante il record di abbonamenti dovuto anche alle nuove regole sulla condivisione delle password. Molto peggio è andata a Elon Musk, che nonostante il +20% dell'utile, ha visto arretrare il margine lordo dal 19,3% al 18,1%, cioè ai livelli più bassi dall'era pre-Covid (2019). Il tonfo in Borsa del titolo ha sfiorato il 10%. I dati fanno scalpore, ma non devono preoccupare troppo gli investitori. Perché, se guardiamo più attentamente, l'ammiraglia di Elon Musk ha visto arretrare il suo titolo dopo un guadagno di oltre il 100% da inizio anno. Più che un crollo, dunque, si tratta di un riassestamento su posizioni comunque molto vantaggiose. Più che la situazione di Tesla – gestibilissima – Elon Musk si dovrebbe preoccupare di Twitter, che finora si è dimostrato un investimento poco riuscito. Qualcuno ha persino affermato che il recente cambiamento del logo del social network – dal tradizionale uccellino blu a un'anonima X – sia un modo per distrarre l'attenzione generale dalla sostenibilità di Twitter, deviandola su argomenti più leggeri.
Parola d'ordine: mantenere
Il calo di Tesla non ha frenato la corsa delle Borse americane. Il Dow Jones, per esempio, da anni non chiudeva con nove sedute consecutive in rialzo. L'Europa, invece, non ha offerto grossi spunti: siamo ancora in una fase di calma, aspettando settembre. Il consiglio per gli investitori non cambia da quelli espressi in precedenza: mantenere, mantenere e mantenere, senza aumentare le posizioni (o almeno senza farlo troppo). Il mercato è ancora ben intonato, ma tiene per inerzia: le altre trimestrali e lo “scavallamento” dell'estate schiariranno le idee un po' a tutti.
Punto di domanda
Naturalmente, di qui ad agosto c'è anche l'appuntamento con le decisioni di Fed e Bce sui tassi. I mercati sono convinti che il rialzo estivo di Washington e Francoforte avverrà, sempre nella misura dello 0,25%. La vera incognita è l'appuntamento successivo, più incerto per la Federal Reserve (aperta allo stop definitivo se i dati di inflazione lo permetteranno), meno per la Banca Centrale Europea, che potrebbe fermarsi solo dopo i due interventi ritenuti probabili da mercati e analisti. Attualmente, l'economia americana sta comunque meglio di quella Ue, il cui momento negativo è, ancora una volta, influenzato dalla lunga guerra russo-ucraina. Mentre, ironia della sorte, la pur sanzionata Russia registrerà performance migliori rispetto ai principali paesi dell'Unione, e probabilmente anche della stessa Eurozona. Questo perché, mentre l'Occidente prosegue con la politica di embargo, la maggior parte del mondo non ha smesso di fare affari con Mosca, sfruttando anzi i prezzi migliori che, data la situazione geopolitica, si possono spuntare.
Braccio di ferro sul grano
Questa situazione non cambia neppure in tempo di “guerra del grano”, i cui effetti si potrebbero sentire presto sulle economie dell'Europa occidentale. Anche se, a quanto sembra, gli ucraini sembrano aver trovato vie alternative per assicurarne il passaggio. In questo caso, gli eventuali aumenti dei generi alimentari sarebbero da attribuire alla solita speculazione, i cui effetti nefasti abbiamo già sperimentato con le bollette di luce e gas. Finora, l'unica conseguenza tangibile sull'economia mondiale dovuto al braccio di ferro è l'aumento del petrolio, che però ha superato solo di poco gli 80 dollari, da qualche settimana limite massimo ufficioso del “territorio di sicurezza”.
Calciatori d'Arabia
L'Arabia Saudita segue una politica ormai consolidata all'insegna dei tagli alla produzione di greggio, ma non bada a spese per il suo nuovo business: la realizzazione di una lega calcio competitiva, che a suon di petrodollari attiri i migliori giocatori del mondo. Un campionato che non vuole certo proporsi come ultimo approdo per molti campioni anziani – come furono la lega americana degli anni Settanta, con l'ingaggio di fuoriclasse del calibro di Pelé e Franz Beckenbauer, e il più recente ma egualmente effimero campionato cinese. Se i sauditi hanno ingaggiato un Cristiano Ronaldo ormai a fine carriera, stanno infatti portando a casa anche giocatori nel pieno del vigore, e provando affondi clamorosi (come l'offerta folle di 300 milioni di euro per Kylian Mbappé). Lo scopo dell'offensiva di Riad sul calcio è creare un campionato di poche squadre che possa affiancarsi ai tradizionali appuntamenti calcistici europei e sudamericani, facendo concorrenza a tornei di lunga tradizione e “tirando la volata” a un eventuale campionato del mondo in Arabia. Tuttavia, c'è forse anche un ulteriore obiettivo: indebolire le squadre che partecipano alla Champions League – o, almeno, quelle che non hanno una proprietà riconducibile alle ricche famiglie della penisola arabica. Non per niente, le squadre della Saudi Professional League puntano soprattutto (anche se non solo) su giocatori svincolati, il cui ingaggio non prevede la corresponsione di denaro al club di origine del calciatore.
Perplessità elettriche
Se l'Arabia Saudita cerca di comprarsi un ruolo nel calcio, la Cina potrebbe prendersi, dal 2035 in poi, l'automotive. Tuttavia, il passaggio della mobilità all'elettrico desta sempre più perplessità. Oltre al ridimensionamento di un'industria fondamentale per paesi come Italia, Germania e Francia, sono sempre più all'ordine del giorno questioni di sicurezza: in caso di urto, le auto elettriche provocano un incendio, se non un'esplosione. È sufficiente una scintilla oppure una giornata di caldo estremo per combinare il patatrac. Inoltre, la ricarica di queste vetture è troppo lenta, e in alcuni casi impossibile. Prendiamo l’esempio del terribile uragano con trombe d'aria che solo poche ore fa ha sconvolto il nord Italia, provocando parecchi danni a Milano. Poco dopo il passaggio della tromba d'aria, la metropoli ambrosiana è stata interessata da lunghi black out elettrici, che in alcuni casi si sono spinti oltre le tre ore. In questo caso, anche la ricarica notturna dell'automobile subirebbe un lungo stop, rendendo inservibile la vettura per un lungo periodo.
Piccole (e grandi) filiali chiudono
Non è la regolamentazione, ma la tecnologia a far chiudere sempre più sportelli bancari. Secondo una rilevazione della First Cisl, da inizio anno in Italia hanno terminato di operare quasi 600 filiali, con Milano leader di questa tendenza. Oltre all'effetto chiaro e innegabile della digitalizzazione, è possibile anche riscontrare un'altra causa: prima del boom dell'on line banking, era avvenuta una deregolamentazione per l'apertura delle agenzie, che aveva sostituito la vecchia disciplina di autorizzazione rigida da parte di Bankitalia per qualsiasi nuova inaugurazione. Gli sportelli che anni fa aprivano in numero elevato ora causano esuberi, spesso gestiti con scivoli e prepensionamenti di personale. A perderci sono soprattutto gli over 70, in molti casi poco abituati alle nuove tecnologie mobile e, oltretutto, bisognosi di rapporti umani che il digitale inevitabilmente riduce. Non è da escludere, in caso di chiusura di filiali, che alcuni anziani effettuino una scelta di prossimità. Con l'addio alla banca che ha rinunciato allo sportello in zona e l'approdo a un altro istituto che ha mantenuto la succursale sufficientemente vicina al loro domicilio.
Foto di Markus Spiske su Unsplash


