Tassi, la Bce non si muove

La Banca Centrale Europea è stata chiara: il costo del denaro, per ora, non cala. Il board, con le parole della presidente Christine Lagarde, ha “solo iniziato a discutere di arretrare la politica restrittiva”. L'imminenza delle elezioni europee, tuttavia, rende abbastanza probabile un segnale dell'Eurotower prima di giugno

Il punto settimanale di Carlo Vedani - AD di Alicanto Capital SGR - sulla situazione dei mercati finanziari.

L'inflazione stimata cala ancora, ma i tassi restano fermi. Lo ha deciso il board della Banca Centrale Europea, che non ha smentito le previsioni. “In questa riunione non abbiamo discusso di tagli“, ha affermato Christine Lagarde, presidente della Bce; “abbiamo solo iniziato a discutere di arretrare la politica restrittiva”. In breve, scordiamoci un cambio di rotta ad aprile: occorrerà sicuramente aspettare la fine della primavera, se non l'estate.

L'incognita elezioni

Le dichiarazioni della presidente Bce non sorprendono affatto, anche se i mercati iniziavano a scommettere su un alleggerimento anticipato rispetto alle previsioni. E' chiaro che le banche centrali non devono dare l'impressione di correre dietro ai mercati: per questo motivo, la posizione della Bce era inevitabile. Anche se probabilmente un piccolo anticipo rispetto alle previsioni ci sarà. Prima di tutto perché l'Europa è in stagnazione e ha bisogno di uno stimolo in quel senso. E poi perché dal 6 al 9 giugno sono in calendario le elezioni per il parlamento europeo, che rendono plausibile un segnale distensivo, pur obtorto collo, da parte della Bce. Una correzione simbolica, magari di 5 centesimi e nulla più, potrebbe orientare la scelta di una parte di elettori indecisi. Per questo motivo, l'avvio della politica di ribassi Bce potrebbe anticipare quello della Federal Reserve, considerato che per le elezioni presidenziali americane bisognerà aspettare novembre. A questo bisogna aggiungere che l'economia statunitense va decisamente meglio rispetto alla nostra – il che fornisce frecce all'arco degli “attendisti”. E' pur vero che Jerome Powell, in audizione al senato Usa, pur affermando che il Fomc sta attendendo certezze concrete che l'inflazione scenda al 2%, (attualmente “non siamo sicuri” di questo, ha detto), ha indorato la pillola rassicurando che l'obiettivo non è lontano. E con esso l'inizio del calo dei tassi. Va da sé che i termini “vicino” o “lontano”, privi di riferimenti certi, danno adito a un florilegio di interpretazioni. E di scommesse sui mercati.

Germania, allarme infrastrutture

A far tremare l'Europa è la crisi tedesca: per parafrasare un noto detto, basta un vetro rotto a Francoforte per far crollare palazzi nell'intero continente. Un ulteriore esempio di come la “locomotiva d'Europa” stia ansimando ci viene da un'inchiesta della Bild: lo studio rivela che in molti casi le infrastrutture sono vecchie e devono essere riparate oppure distrutte (come accaduto per un ponte sul Rahmede, in Renania-Vestfalia, divenuto pericoloso e fatto saltare per aria, per evitare conseguenze drammatiche). Secondo la Bild, per ristrutturare le strade e le ferrovie servirebbero cifre improponibili. Un commento è d'obbligo: a furia di sostenere e condurre politiche restrittive, è facile che in periodi di crisi ci si trovi con problemi di manutenzione ordinaria e impossibilità di finanziarla. Ciò si riverbera a cascata su vari ambiti. Prima di tutto sui trasporti delle merci, i cui ritardi poi vanno a creare un effetto domino sull'economia.

Il caso Tim

Intanto, le Borse mantengono un margine di oscillazione limitato: l'anno è partito bene (specialmente per Milano, che più di una volta ha vestito la maglia rosa dei listini europei) e, almeno per adesso, si mantiene solido. A preoccupare è, in questo periodo, il crollo di Tim, con un -25% in tre giorni. Tra i responsabili, il piano presentato dalla compagnia telefonica, con obiettivi di crescita e di abbattimento del debito giudicati pretenziosi (anche se il management ha buttato acqua sul fuoco, affermando che gli obiettivi sono raggiungibili). I dati sono usciti male e hanno causato il crollo in Borsa, con investitori spaventati da un debito maggiore del previsto, reso ancor più problematico dai tassi di interesse alti. Questo allarme, unito alle conseguenze della vendita della rete, ha reso lecito un interrogativo; a queste condizioni, dove avverrà la redditività futura? Allo scetticismo si è aggiunta, probabilmente, una buona dose di speculazione: alcuni hedge fund erano forse short già prima della comunicazione del piano, reso noto lo scorso 7 marzo, e ne hanno approfittato. A questi livelli, in ogni caso, il titolo Tim inizia a rivelarsi una buona opportunità di acquisto, con spazio di risalita del 20-25%.

Medaglia d'oro

Tranquillità, invece, sul fronte dei cambi e dell'energia. Il rapporto euro-dollaro resta nella fascia di sicurezza, come il petrolio, i cui livelli non sono per il momento influenzati dalla crisi di Aden. L'assenza di volatilità fa bene al prezzo del greggio: finché su questo fronte ci sarà la tranquillità, i livelli tariffari dell'oro nero non dovrebbero variare. Lo spread è ai minimi di tre anni (tra il silenzio generale). Rame e alluminio rimbalzano in modo poco significativo, mentre a stabilire primati su primati è l'oro. Nonostante il record assoluto del “re dei metalli”, è lecito osservare che nell'ultimo anno, con il deprezzamento del dollaro, un investitore in euro ha percepito lo stesso rendimento di chi ha scelto di “rifugiarsi” nell'oro. E' anche vero che un guadagno del 3%-4% legato al metallo giallo non ha una correlazione logica con il calo dell'inflazione, che dovrebbe invece alleggerire il valore dei beni rifugio. Secondo un'interpretazione (che resta tale, naturalmente), a scompaginare le carte potrebbero essere stati paesi come Russia e Cina, che a causa delle sanzioni attuali e del blocco dei depositi all'estero (la prima) e per timore di embarghi futuri (la seconda) si sarebbero premunite riempiendo di oro (e di sicurezza) i loro forzieri.

Bob a Cortina

Mancano meno di due anni ai Giochi Olimpici di Milano-Cortina, ma le incertezze regnano sovrane: nonostante la scadenza ravvicinata, non si sa ancora dove si svolgeranno le gare di bob, slittino e skeleton. Il cantiere per la pista di v è stato aperto, anche se non c'è la sicurezza che il Cio approvi l'opera (la luce verde del comitato olimpico è necessaria per ospitare le gare nel nuovo impianto), né che, una volta finiti i Giochi, l'opera non diventi una cattedrale nel deserto, come quella di Cesana legata a Torino 2006. La soluzione ottimale sarebbe stata, a questo punto e con siffatti ritardi, virare sull'impianto di St Moritz (località vicina a Milano e già attrezzata per il bob), dirottando il denaro originariamente stanziato per la pista di Cortina alla viabilità sulle strade delle località olimpiche e alle ferrovie. Per consentire alla kermesse a cinque cerchi di lasciare al territorio un'eredità tangibile.

Foto di Marc-Olivier Jodoin su Unsplash


Inflazione, Visco tranquillizza: “situazione diversa dagli anni Settanta”

Il governatore della Banca d'Italia ne è certo: i due periodi storici sono del tutto diversi e la crisi attuale è temporanea. Ma la fine della politica “zero Covid” in Cina, con la maggior richiesta di energia e petrolio, potrebbe alzare i costi delle materie prime. Intanto, i consumi italiani spingono al rialzo le stime del pil atteso. Luci e ombre dai cantieri olimpici

Il punto settimanale di Carlo Vedani - AD di Alicanto Capital SGR - sulla situazione dei mercati finanziari.

L'inflazione attuale non è assolutamente paragonabile a quella degli anni Settanta. Ad affermarlo è stato Ignazio Visco, governatore della Banca d'Italia, lo scorso 11 febbraio nel corso di una lezione al Warwick Economics Summit di Londra. Secondo il governatore della Banca d'Italia, i due periodi sono differenti, sia per i miglioramenti della politica monetaria, sia per le trasformazioni strutturali che sono intervenute nelle nostre economie.

Nuovo rischio dal petrolio

L'analisi è sostanzialmente condivisibile, e – pur involontariamente – dimostra che il continuo rialzo dei tassi da parte della Bce non è una strada utile da percorrere. Abbiamo insistito molte volte sulla differenza fra l'inflazione americana (di tipo tradizionale) e quella europea, che dipende invece dal caro-gas, fenomeno a sua volta provocato dalla crisi russo-ucraina, dalla transizione energetica e dalla ripresa delle attività dopo il periodo delle restrizioni Covid. Cercare di schiacciare un'inflazione così atipica con strumenti tradizionali rischia di mandare le economie in recessione senza risolvere il problema: con la fine della politica zero Covid in Cina, il bisogno di energia (e soprattutto di petrolio) provocherà facilmente una stabilizzazione verso l'alto dei costi delle materie prime – anche perché Pechino ne assorbe circa il 50%. Per questo motivo, il prezzo del greggio, finora sotto controllo, rischia di tornare a salire, con una dinamica verso l'alto rinforzata dalla ricostituzione delle riserve strategiche americane.

La Cina è vicina

C'è però anche un rovescio della medaglia. La ripresa della Cina potrebbe infatti dare impulso all'economia europea, anche in presenza di un caro-petrolio. Se infatti Pechino riuscirà a invertire la rotta e innescare un periodo virtuoso sia sul fronte interno sia su quello delle esportazioni, si verificherà un effetto positivo su tutta la catena del valore. A cominciare dall'Europa. A trarre beneficio da questo trend in crescita, però, sarà anche la Russia: la crescita cinese obbligherà Pechino ad aumentare la fornitura di materie prime, che acquisterà soprattutto da Mosca. Le sanzioni europee, i cui pacchetti continuano a fiorire in quel di Bruxelles, saranno quindi ancor più vanificate. Insomma, le previsioni dell'ex premier Mario Draghi, che allo scoppio della guerra pronosticava una Russia in bancarotta entro due mesi, si sono rivelate del tutto errate.

Le obbligazioni spingono il pil

Sicuramente fanno bene all'Italia gli ultimi dati sul prodotto interno lordo, che la Commissione Europea ha stimato, per il 2023, a un +0,8%. Il dato rivede verso l'alto la previsione sul pil diffusa a novembre (+0,3%) e l'inflazione attesa, passata dal 6,6% al 6,1%. Il prossimo anno, sempre secondo questi dati, la situazione potrebbe essere ancora migliore: pil previsto a +1% e inflazione al 2,6%. Il buon risultato dipende anche dall'inversione di tendenza sui consumi, che a loro volta sono stati spinti dal rialzo dei rendimenti sulle obbligazioni. Gli italiani sono un popolo di risparmiatori, molto orientato ai bond: i rendimenti fra il 4% e il 6% sulle cedole generano dunque una ventata di serenità e ottimismo, allentando il freno allo shopping. Sorride anche l'azionario che, anche grazie a bilanci migliori delle aspettative, continua il suo trend favorevole. A contribuire è anche il buon momento dei titoli bancari, che hanno messo il turbo sia a causa dell'aumento dei tassi, sia per la loro alta capitalizzazione. È quindi consigliabile mantenere le proprie posizioni sull'azionario, almeno fino a quando il mercato dovesse iniziare a mostrare correzioni brusche e significative.

Inflazione Usa, dati non del tutto positivi

Notizie non del tutto positive dall'inflazione americana su base annuale, che a gennaio si è attestata sul 6,4%. Un dato sì in calo rispetto al 6,5% del mese precedente, ma oltre la previsione del mercato (6,2%). Sale invece dello 0,5% (invece che dello 0,4% che ci si attendeva) la percentuale mensile. Se invece escludiamo cibo ed energia, la crescita annuale è del 5,6%  e quella mensile dello 0,4% (entrambe lo 0,1% in più rispetto alle attese). Queste percentuali rendono praticamente certo un nuovo ritocco dei tassi da parte della Federal Reserve.

Londra, la crisi continua

Se il prodotto interno lordo italiano mostra ottime prospettive, i dati sul pil britannico non sono per nulla tranquillizzanti. Se Londra, a fine 2022, si è salvata dalla recessione per un soffio, a fine febbraio probabilmente non potrà più evitarla. L'inflazione è molto alta, causa impoverimento e soffia sul fuoco delle proteste sociali che si fanno più forti, con manifestazioni e scioperi di varie categorie professionali. In questa situazione, oltre alla congiuntura internazionale, entra in gioco anche la Brexit, che ha acuito un già forte squilibrio della bilancia commerciale. Nonostante l'indipendenza energetica che contraddistingue la Gran Bretagna, con le riserve di petrolio nel Mare del Nord, il problema strutturale di carenza di manodopera finisce per colpire gli approvvigionamenti e crea un'offerta ridotta, a fronte di una domanda molto alta. Si è parlato più volte di una riapertura delle trattative con l'Europa, per trasformare la Brexit “forte” in una formula più soft. Ora come ora, con i Conservatori al governo, rivedere i termini della collaborazione Londra-Bruxelles è impossibile. Per riaprire i giochi occorrerà forse attendere le elezioni e un probabile cambio di governo.

Milano-Cortina, spese più alte per il Villaggio Olimpico

Il conto alla rovescia per Milano Cortina 2026 è già ufficialmente iniziato. E i lavori per il villaggio olimpico, in costruzione alla ex stazione ferroviaria di Porta Romana, sono in anticipo di quattro mesi. Cattive notizie, però, sul fronte spese: il villaggio costerà infatti il 30% in più di quanto previsto, portando il conto a 150 milioni. Il rincaro dipende essenzialmente dai maggiori costi delle materie prime (evidentemente gli appalti non prevedevano prezzi bloccati), ma anche dall'aumento della superficie richiesto dal Comune (10.000 metri quadrati, che si aggiungeranno ai 70.000 iniziali). Questo anche in previsione della destinazione post olimpica dell'area, che diventerà una residenza universitaria con 1.700 letti a disposizione degli studenti fuori sede. Il vantaggio di Milano Cortina, in ogni caso, è la situazione degli impianti, in gran parte già pronti ancora prima dell'assegnazione. La partita più impegnativa si gioca sulle infrastrutture, dove non tutte le notizie sono positive. Sembra ormai certo che alcuni lavori previsti non saranno completati in tempo: tra queste, il prolungamento della tangenziale di Bormio, la bretella di Chiavenna, lunga appena 8 chilometri e forse anche la soppressione di alcuni passaggi a livello e il tram Forlanini-Rogoredo. In totale, delle 42 opere di viabilità previste, ne saranno sicuramente ultimate in tempo utile solo 11. Le altre sono in ritardo (e in forse). Nonostante questo, è molto probabile che il ritorno per le aree protagoniste dei Giochi sia, alla fine, molto positivo. Se Milano sta ancora volando sulle ali di Expo 2015, si può prevedere un analogo beneficio dopo la kermesse olimpica. Certamente l'occasione andrebbe sfruttata a pieno, ripensando completamente l'industria sciistica lombarda e alpina. La Torino post-olimpica ha fatto da apripista, lanciandosi come comprensorio sciistico di riferimento per inglesi e irlandesi, anche grazie all'apertura di rotte low cost invernali su Caselle. L'esempio potrebbe essere replicato in grande con i cinesi: se dopo i Giochi Olimpici si riuscisse a organizzare l'arrivo di aerei giornalieri da Pechino o Shanghai per Malpensa, Venezia e Torino, la ricaduta economica per tutte le aree montane interessate sarebbe clamorosa. E trasformerebbe la nostra neve nell'oro bianco italiano. Temperature permettendo.

Image by rawpixel.com


Mercati, navigazione tranquilla

Il rimbalzo di luglio si sta confermando anche nel corso di agosto. Il mese prossimo potremo capire meglio se siamo in presenza della tanto agognata ripresa. Senza trascurare le incognite provenienti dal rincaro delle materie prime, vera e propria spada di Damocle sull'economia reale.

Il punto settimanale di Carlo Vedani – AD di Alicanto Capital SGR – sulla situazione dei mercati finanziari

 

Il rimbalzo partito lo scorso luglio sta proseguendo. È ancora presto per capire se si tratti di un fenomeno passeggero o di un segnale di ripresa: a settembre, quando la totalità degli operatori tornerà in servizio, potremo capirne qualcosa di più. Senza dimenticare, ovviamente, la scure della crisi provocata dalla guerra e dall'aumento dell'energia elettrica, potenzialmente distruttivi per le imprese e l'economia di mezzo mondo.

È ancora presto, si diceva, per delineare i possibili trend. Ma un elemento già emerge: i dati non sono così negativi come inizialmente si pensava. Anche l'inflazione si sta attestando su nuovi livelli, senza ulteriori rincari: un'ulteriore dimostrazione che il mercato ha i suoi anticorpi. E i suoi limiti, difficilmente valicabili: oltre a un certo livello non è possibile spingersi.

Sta di fatto che oggi la navigazione è tranquilla e il mare è calmo. Il decennale tedesco offre rendimenti tra lo 0,8% e l'1,2%, mentre quello americano il 2,6%. E questi dati favoriscono la ripresa.

Anche lo spread veleggia su quota 210 e offre una fase di relativa tranquillità – il che non è poco, soprattutto nel mezzo di una campagna elettorale. A questi prezzi i mercati offrono un cuscinetto di garanzia che tranquillizza investitori e risparmiatori: la lettura dei dati suggerisce che molto difficilmente si scenderà sotto i minimi fatti registrare da gennaio a oggi. È quindi ragionevole rimanere nell'investimento, o addirittura aumentare il proprio peso.

 

Meglio l'Europa

Sì, aumentare il proprio peso. Ma dove? Un buon livello di consenso consiglia di guardare ai titoli value europei piuttosto che a quelli americani.

In Europa, i titoli value hanno fatto crescere gli utili in maniera maggiore di quelli growth – un fenomeno non riscontrabile oltre oceano. Poi - è chiaro - qualsiasi società che oggi vale dieci volte gli utili, fra dieci anni potrebbe raddoppiare il capitale anche se non dovesse crescere. Questo non succede – e da nessuna parte - nei titoli growth. Perché per poche società che, come Google o Amazon, hanno raddoppiato il loro valore, ci sono anche altre aziende che hanno causato agli investitori la perdita di una gran parte del capitale, se non dell'intera somma allocata.

Cosa scegliere, invece, in Italia? Alcuni dei titoli con le maggiori capitalizzazioni del listino promettono buoni rendimenti, purché si investa nel medio-lungo periodo. L'operazione conviene anche solo considerando i dividendi attesi, a cui occorre aggiungere gli utili che vanno a patrimonio netto. A ben vedere, questi titoli di Piazza Affari promettono rendimenti molto vicini a quelli che una volta erano offerti dai titoli di Stato.

 

La discesa del petrolio

In generale, abbiamo quindi visto, i fari sono accesi sui mercati europei che cercano di consolidare la ripresa. Unico punto critico di una situazione tranquilla è il freno ai mercati proveniente dalla Cina, che dipende essenzialmente dai nuovi lockdown decisi dalle autorità di Pechino.

D'altra parte, però, il rallentamento che proviene da oriente ha anche un effetto positivo: contribuisce cioè al calo del valore del petrolio, con tutto quello che ne consegue per le aziende e per i prezzi al consumo. Uno studio di Goldman Sachs prevedeva che entro fine anno il greggio si sarebbe spinto a 180-190 dollari: mai dire mai, si usa dire, ma la situazione attuale rende questa congettura assai improbabile. Oggi il Brent è più vicino ai 90 che ai 100 dollari al barile e il Wti è persino sotto i 90. E non è detto che non si scenda ancora.

 

Ma il gas va sempre più su...

Il trend petrolifero sta favorendo la discesa dell'inflazione americana e creando qualche speranza per la tenuta dell'economia reale nel mondo occidentale. Ma potrebbe non essere sufficiente, a causa del prezzo del gas, che continua ad aumentare (questa settimana ad Amsterdam si è raggiunto il prezzo record di 233 dollari per kilowattora, con un rialzo del 6%).

Il fenomeno, che sembra inarrestabile, avviene per i problemi noti, ma anche (e soprattutto) a causa degli speculatori che ne approfittano a mani basse. Basti pensare che il gas acquistato dall'Eni costa, teoricamente, un euro per il 90% dell'approvvigionamento e 3 per il restante 10%. Se non che, alla fine il prezzo finale è quello più caro, applicato all'intero stock – vale a dire, il 100% viene acquistato a 3 euro. Questo esempio fornisce già un quadro chiaro delle vere cause del rincaro selvaggio.

Se poi si aggiunge che ogni nave americana impegnata nel trasporto di gas via mare guadagna 250 milioni di dollari per singolo tragitto, si ottiene una spiegazione ancora più completa dell'intero scenario.

Se nessuno riuscisse a intervenire, il prossimo autunno potrebbe rivelarsi molto problematico. Si rischia un “raddoppio del raddoppio” dei costi energetici – tutto questo mentre la campagna elettorale italiana ha reso marginale il problema, che invece è drammaticamente centrale. Se le previsioni negative dovessero avverarsi, molte imprese ne verrebbero travolte, con esiti davvero disastrosi per lavoratori e consumatori.

 

C'è chi scende e c'è chi sale

Se il petrolio fa respirare le aziende e il gas rischia di soffocarle, l'oro dà ulteriori segni di stabilità. Il metallo giallo è infatti risalito un po', ma si trova sempre in una fascia neutrale, confermandosi sempre in un prezzo di protezione. In altri termini non ha perso nulla, ma non si è completamente posto al riparo di un'inflazione che continua a rimanere fra il 7% e l'8%.

Da questi dati si capisce quanto avesse ragione Warren Buffett quando diceva che un dollaro americano collocato in Borsa nel 1943 e conservato fino a oggi ha un valore 30 volte maggiore rispetto allo stesso investimento in oro. E se lo ha detto un uomo che recentemente ha proprio puntato sul metallo giallo, gli si può ampiamente credere.

L'oro, come abbiamo ricordato più volte, non è più un bene rifugio. In questo ruolo, almeno temporaneamente, è stato scalzato dal franco che, dopo i tanti sforzi della Banca Nazionale Svizzera per mantenere quota 1,20, ha sfondato la parità sull'euro e sta continuando a galoppare, facendo registrare record su record. E, secondo gli esperti, proseguirà la sua corsa: John Plassard, analista di Mirabaud Banque, ha previsto ulteriori apprezzamenti della moneta elvetica.

Il dollaro americano si è invece stabilizzato in una valutazione vicina alla parità: la corsa del biglietto verde si è fermata, ma la valuta americana non retrocede, nonostante una serie di problematiche dell'economia americana e l'avversione, da parte degli Usa, all'idea di dollaro forte.

 

Giappone, deludono i dati sul pil

Infine, un'osservazione sul pil giapponese, che ha un po' deluso le aspettative a causa di un calo delle scorte. Si tratta, comunque, di valori moderati, che non preoccupano più di tanto, e che possono rappresentare un fattore contingente legato all'inflazione. D'altra parte è utile non drammatizzare troppo un dato trimestrale, privilegiando maggiormente una visione di insieme, anche alla luce degli sviluppi economici (e geopolitici) mondiali.

Il Giappone, ricordiamolo, ha mantenuto una politica di tassi a zero, dimostrando di privilegiare la crescita rispetto alla lotta all'inflazione. Tokyo ha un punto fermo: non può permettersi una recessione. È la grande lezione di Shinzō Abe, che sopravvive allo statista recentemente scomparso. E che, probabilmente, darà i suoi frutti a lungo termine, quando occorrerà pagare le pensioni a una popolazione sbilanciata sugli anziani. Un problema che accomuna il Giappone all'Italia (ricordiamolo, i due paesi sono tra i più longevi del mondo). E che occorrerà affrontare anche alle nostre latitudini, per evitare che, fra dieci o vent'anni, lo stato non sia più in grado di pagare le pensioni a causa del grande numero di persone che si sono ritirate dal lavoro.

 

Image by rawpixel.com


Privacy PolicyCookie PolicyTermini e Condizioni

CONTROVERSIEDISCLAIMERWHISTLEBLOWING

CHI SIAMONEWSPREMI

Società con azionista unico – Soggetta all’attività di direzione e coordinamento di Finsolari S.r.l.
Capitale Soc. €1.040.000 int. Versato.CF 11416170154 – P.IVA 01867650028
R.I. Milano Monza Brianza Lodi n. 11416170154 REA MI – 2022469
La SGR aderisce al Fondo nazionale di Garanzia

Milano

Via Agnello, 5 - 20121


Tel. +39 02 863571
Fax +39 02 86357300

Biella

Via Italia, 64 - 13900


Tel. +39 015 9760097
Fax +39 015 9760098

© 2024 Alicanto Capital SGR S.p.A. | All Rights Reserved

Privacy Preference Center