Mercati, correzioni verso il basso in un trend rialzista

Leggera flessione dei listini, che però proseguono una tendenza moderatamente positiva. Wall Street ha risentito negativamente dei dati sulla crescita Usa, inaspettatamente negativi, mentre prosegue in gran parte del mondo occidentale l'incertezza sui tassi. Intanto, è a un passo l'accordo per il salvataggio di Eurovita.

Il punto settimanale di Carlo Vedani - AD di Alicanto Capital SGR - sulla situazione dei mercati finanziari.

I mercati hanno chiuso la scorsa settimana con una correzione verso il basso, nell'ambito di un trend che rimane rialzista. In particolare, Wall Street ha sofferto il calo inatteso dell'indice Pmi manifatturiero americano, che offre un'indicazione sulla crescita del settore (valore sopra i 50 punti) o di un suo calo (sotto). Il livello è sceso da quota 48,4 di maggio a 46,3 di giugno, contro le previsioni che vedevano una sostanziale stabilità (+0,1%), mostrando quindi una tendenza alla decrescita. Un po' meglio, ma sempre in calo, l'indice Pmi servizi che si è abbassato da 54,9 a 54,1. Ancora più bassi gli indici Pmi dell'Eurozona: 43,6 per quello manifatturiero e 52,4 per i servizi.

 

L'inesorabile aumento dei tassi

A dare un po' di incertezza sugli indici anche le recenti questioni russe e il tira e molla sui tassi. Come noto, la Federal Reserve ha fatto rifiatare i mercati con la sospensione provvisoria dei rialzi, che però potrebbe riprendere a breve: non per niente Mary Daly, presidente della Fed di San Francisco, ha definito una previsione “molto ragionevole” la possibilità di effettuare due nuovi ritocchi. Proprio come avverrà in Europa dove è ben noto l'atteggiamento aggressivo di Christine Lagarde, che porterà quasi certamente a due spostamenti verso l'alto di 25 punti base l'uno. L'ostinazione della Bce verso il completamento della stretta monetaria a tutti i costi sembra paragonabile a un automobilista che guida prestando attenzione soltanto allo specchietto retrovisore. Senza curarsi della strada – cioè delle prospettive future e del rischio recessione sempre più incombente. Discorso differente per la Banca d'Inghilterra che ha invece puntato sull'aumento di 50 punti, deciso dopo gli ultimi, preoccupanti dati sull'inflazione. Un fenomeno legato, oltre che al quadro internazionale, anche alla Brexit e alle politiche restrittive sull'immigrazione, che causano carenza di manodopera e di beni, con un primo accenno di inflazione salariale.

 

Inflazione da profitti

A proposito di inflazione, è interessante un'analisi effettuata dall'ufficio studi di Allianz Trade. La compagnia tedesca specializzata in assicurazione del credito ha  osservato che, nonostante la discesa dei valori di riferimento delle materie prime, i prezzi dei prodotti restano alti. E non accennano a tornare nei ranghi. C’è un’inflazione da troppi profitti?”, si chiede la compagnia del gruppo Allianz. “Non sarà che alcune aziende continuano a scaricare i rincari sul consumatore finale, anche se non è più necessario?”. La risposta dell'analisi è abbastanza scontata: “i margini di profitto delle imprese non finanziarie nell'Eurozona sono di recente aumentati”, recita una nota della società. “Con il 40,8% del valore aggiunto lordo alla fine del 2022, i margini delle società non finanziarie sono in media di +0,6 punti percentuali sopra la media, con Italia (44,8%) e Spagna posizionate meglio rispetto a Germania e Francia. Tuttavia, ci sono differenze significative tra i settori. I margini di profitto sono aumentati in particolare nell'agroalimentare, dove i rivenditori sono stati in grado di aumentare i propri margini al 78,6% nel quarto trimestre del 2022 (12,3 punti percentuali in più rispetto al livello pre-pandemia)”. Le osservazioni di Allianz Trade sfondano una porta aperta: l'esperienza ci dice che l'inflazione “da profitti” si è sempre verificata, e che una volta che i prezzi salgono, difficilmente scendono. In questo caso, gli aumenti sono stati causati dal rincaro delle materie prime – petrolio e soprattutto gas, che la scorsa estate ha stabilito record su record, infrangendo al Ttf di Amsterdam la barriera dei 300 euro a megawattora. Ora che il metano veleggia poco sopra quota 30 e il greggio continua a navigare nella fascia neutrale compresa fra i 70 e gli 80 dollari al barile, i prezzi al consumo non sono scesi. Creando un effetto domino sulla filiera. E problemi ai consumatori. Se si osservano i dati di spesa degli italiani, è facile osservare che sempre più persone si rivolgono ai supermercati e agli hard discount, cercando magari i prodotti vicini alla scadenza e scontati di una percentuale importante. Il dato, oltre che sui cittadini, si ripercuote sui negozi tradizionali di quartiere, già penalizzati, rispetto alla grande distribuzione, da una tassazione meno favorevole, dai rincari di prezzi e dai costi dell'elettricità.

 

Mes rimandato a settembre?

Al centro del dibattito anche il Mes, la cui discussione parlamentare per un'eventuale ratifica potrebbe essere procrastinata a dopo le ferie estive. Almeno questo è l'obiettivo del governo, che punta a compattare la maggioranza, evitandone la spaccatura in sede di voto, e a proseguire il dialogo con Bruxelles. Certo è che il Mes, nella formulazione attuale, non lascia tranquilli. Attribuisce infatti alla Bce poteri di indirizzo molto preoccupanti per i paesi più indebitati. Sarebbe sufficiente puntare un riflettore sull'Italia per scatenare i mercati e portare lo spread ai livelli del 2011. L'attuale formulazione del Mes non offre un contrappeso all'ipotesi di speculazione finanziaria, aprendo il rischio – per i paesi più fragili – di una ristrutturazione del debito pubblico, in grado di incidere sull'economia e sul sistema bancario, oltre che di distruggere il risparmio privato. L'esperienza della Grecia, i cui cittadini sono stati, in alcuni casi, privati persino delle medicine, dovrebbe metterci in guardia. Meglio sarebbe riaprire il dibattito su questo strumento, inserendo contrappesi forti alla speculazione. Nello stesso tempo, il successo delle emissioni di Btp potrebbe costituire una valida alternativa, in una situazione che vede lo spread ai minimi (verso quota 160), nonostante le previsioni al rialzo diffuse recentemente da Goldman Sachs.

 

Eurovita, salvataggio a un passo

Intanto è stato raggiunto l'accordo per il salvataggio di Eurovita, che dovrebbe essere formalizzato a breve. La compagnia controllata dal fondo di private equity Cinven sarà rilevata per un importo simbolico da cinque big (Intesa Vita, Generali, Poste, Allianz e Unipol), per poi essere “spacchettata” e divisa in parti uguali. Previsto un “paracadute” di 500 milioni di euro. L'Ivass, da parte sua, prorogherà il blocco dei riscatti per alcune settimane (doveva scadere il 30 giugno), con l'obiettivo di mandare in porto l'operazione senza rischi. Le grandi banche faranno da garanti, subentrando nei contratti nel caso in cui gli investitori dovessero chiedere il riscatto della polizza – un'eventualità che, in ogni caso, si cerca di scongiurare con l'intervento delle “big” assicurative, dato che gli attuali clienti Eurovita si troveranno titolari di polizze “sicure” Intesa Vita, Generali, Poste, Allianz e Unipol. L'accordo, se ufficializzato, consentirebbe di tirare un sospiro di sollievo all'intero ramo vita. Abbandonare alla loro sorte i clienti di una compagnia in crisi, infatti, avrebbe rischiato di sferrare un colpo letale all'intero comparto, già stretto fra la crisi della raccolta (negativa per 4,8 miliardi nel primo trimestre 2023 e in calo di oltre 10 rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente) e la concorrenza di buoni del tesoro e conti deposito. Non risolvere il caso Eurovita avrebbe innescato una spirale di sfiducia nei confronti del ramo, rischiando di provocare un life run – cioè una richiesta di riscatti di massa. L'intervento del mondo bancario e delle grandi assicurazioni del comparto fa rientrare i rischi, permettendo a questo business di ripartire dai suoi punti di forza. Che non sono certo i rendimenti, minori di quelli offerti da Btp e Bot, con maggiori vincoli sui capitali, ma l'impignorabilità e l'insequestrabilità del denaro investito.

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Morte di Berlusconi, terremoto sulla sua galassia

Oltre al cordoglio internazionale, la scomparsa dell'ex premier ha suscitato anche forti impatti in Borsa, con un balzo di Mediaset (oggi MediaForEurope N.V.). A una prima occhiata, sembra che i listini abbiano “scommesso” su una futura cessione delle aziende. Ma, più probabilmente, si tratta di pura speculazione.

Il punto settimanale di Carlo Vedani - AD di Alicanto Capital SGR - sulla situazione dei mercati finanziari.

Questa settimana si è aperta con l'improvvisa scomparsa di Silvio Berlusconi. La notizia ha acceso una fiammata sui mercati, segnatamente sui titoli legati alle aziende dell'ex premier: sebbene Fininvest abbia assicurato una continuità di gestione, i mercati – almeno da una prima occhiata - sembrano aver “scommesso” su una futura cessione di alcune imprese della galassia Berlusconi. In particolare, Mediaset ha raggiunto i massimi da inizio anno, mentre Mondadori e Mediolanum sono cresciute in percentuali decisamente più moderate.

La successione

Ma le Borse sono davvero convinte di uno smembramento dell'impero economico di Berlusconi? Quasi certamente no. È più probabile che, invece, il rialzo di Mediaset non sia altro che una pura e semplice speculazione: il cinismo dei mercati è noto, come lo è la tendenza, da parte degli investitori più spericolati, ad approfittare di ogni notizia per ricavarne il più possibile, causando terremoti sui titoli presi di mira. A suo tempo, Berlusconi aveva studiato regole di successione molto chiare, che sembrano indirizzare gli eredi verso una continuità di gestione. Sembra quindi probabile che non si verifichino, nel prossimo futuro, i conflitti esplosi dopo la morte di Leonardo Del Vecchio, con la contestazione di un pur “blindato” testamento: in questi anni, Berlusconi ha lavorato molto sulla coesione dei suoi cinque figli, organizzando anche incontri settimanali fra di loro. Ammesso e non concesso che sorga qualche controversia, ciò potrebbe accadere fra non meno di 15 anni, quando i 16 nipoti dell'ex primo ministro saranno tutti in età adulta. Il problema maggiore potrebbe invece sorgere sul fronte dei finanziamenti a Forza Italia, dato che non è scontato che i figli di Berlusconi decidano di proseguire gli ingenti aiuti economici assicurati al partito dal suo fondatore.

Partenza in rialzo

Per il resto, a livello internazionale, questa settimana è iniziata in crescendo. Per scoprire se si tratti del solito “ping pong” a cui siamo abituati da mesi oppure di una nuova gamba di rialzo dovremo, naturalmente, aspettare la riunione della Bce, prevista per domani. E che non dovrebbe riservare sorprese: si ipotizza che Francoforte insista sulla linea di stretta monetaria, comportandosi come le monadi di Leibniz, che notoriamente “non hanno finestre” sull'esterno, piuttosto che mostrandosi attenta alla situazione dell'economia reale, all'inflazione che cala e allo spettro della recessione. Del resto, l'economia non se la passa un granché bene neppure negli Stati Uniti, dove la Fed potrebbe applicare un approccio meno rigido alla politica monetaria. I massimi raggiunti da Wall Street la scorsa settimana non sono infatti rappresentativi di un reale progresso dell'indice, ma solo l'exploit di un numero limitato di titoli (meno di dieci). Se osserviamo l'andamento dei sottosettori, possiamo facilmente intuire le attuali difficoltà dell'economia tradizionale in gran parte del mondo occidentale. Un esempio dall'Italia: in aprile, la produzione industriale è calata del 7%, e da luglio in poi i problemi potrebbero essere maggiori. Fino a fine giugno, infatti, una contrazione più forte sarà evitata dai backlog di ordinativi dell'esportazione in Germania, legati alla situazione di fine 2022 (migliore rispetto a quella attuale). Tuttavia, dal prossimo mese si inizierà ad avvertire anche la recessione tecnica di Berlino. Ci troviamo dunque di fronte a difficoltà che generano difficoltà, creando una sorta di effetto domino in tutti i settori produttivi.

Frena l'immobiliare

L'economia reale italiana (ed europea) potrebbe soffrire anche della frenata del settore immobiliare, che ha probabilmente raggiunto i valori massimi e rischia di iniziare una parabola discendente. L'aumento del costo del denaro ha già causato una forte contrazione nelle compravendite, che hanno messo a segno un preoccupante -20%. Un fenomeno chiaramente sostenuto dal caro-mutui, che a fine 2021 non superavano il costo dell'1,20% per il tasso fisso (e ancora meno per il variabile) e ora hanno raggiunto il 4,4% per la prima formula e una percentuale maggiore per la seconda. Occorrerà dunque fare attenzione ai prossimi sei mesi. I rischi ci sono e si vedono chiaramente. Li conosce anche la Bce, che come già detto – sebbene l'inflazione stia rientrando – probabilmente non rinuncerà ad ulteriori aumenti dei tassi fino ai 50, o forse ai 75, punti base. Per poi (lo speriamo tutti) iniziare la lenta e graduale discesa nel 2024. Il quadro delle difficoltà riscontrate dall'economia reale è completato dalla deflazione cinese, che impedisce a Pechino di fare da traino per la ripresa, e dal perdurare della guerra russo-ucraina.

Mps, Bper si defila

Solo otto giorni fa, alcune indiscrezioni riportate da Repubblica vedevano la concreta possibilità che Bper fosse interessato ad acquistare Montepaschi. Secondo i rumours una simile operazione, che avrebbe puntato alla costruzione di un terzo polo bancario, avrebbe suscitato interesse anche in Mcc e Unicredit, disposte a rilevare il 25% circa delle filiali della banca senese per rendere più semplice l'acquisizione. Pochi giorni dopo, però, Piero Luigi Montani ha spento gli entusiasmi, affermando chiaro e netto che la banca emiliana non è interessata all'operazione. La dichiarazione dell'amministratore delegato di Bper ha causato un forte calo delle azioni Mps. Tuttavia, trovare un acquirente è solo questione di tempo. È probabile che il mancato interesse di Montani dipenda da considerazioni geografiche o strategiche. Ciò non toglie che oggi come oggi l'acquisizione del Montepaschi potrebbe rappresentare una rilevante opportunità in prospettiva: l'istituto senese è stato depurato dalle scorie, e bene ha fatto lo Stato a procedere all'aumento di capitale. Chiaro: sarà prevalentemente una questione di prezzo. Lo esigono i forti investimenti effettuati con i soldi dei contribuenti, da cui comprensibilmente lo Stato vuole cercare di rientrare almeno in parte. E quindi, come è logico, cercherà di ottenere il massimo dalle trattative, anche considerato l'appeal attuale del mercato bancario italiano. Che è ancora un settore su cui è conveniente scommettere. Oggi come oggi, in generale, è infatti consigliabile alleggerire un po' le posizioni in Borsa, ma resta  vantaggioso continuare a puntare sugli istituti di credito. Nonostante i rialzi recenti, infatti, le banche non hanno ancora raggiunto il loro pieno potenziale a Piazza Affari. E potrebbero riservare nuove sorprese positive.

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Borse, il peggior semestre degli ultimi 50 anni

Si chiudono sei mesi da incubo sui mercati, con ribassi ampiamente superiori al 10% sia sulle obbligazioni che sulle azioni, un evento in contemporanea che non si verificava dal 1972. Ora potrebbe essere giunto il momento di investire, sfruttando le opportunità nella parte value, ma anche nei bond.

Il punto settimanale di Carlo Vedani - AD di Alicanto Capital SGR - sulla situazione dei mercati finanziari

Sta giungendo a conclusione un semestre che per i mercati si è rivelato decisamente negativo. La prima metà del 2022 ci “regala” negli Stati Uniti il peggior risultato borsistico degli ultimi 50 anni, con una perdita dell'azionario compresa fra il 15% ed il 20% (27% se si considera il Nasdaq) e dell'obbligazionario fra il 10% e il 15% (in funzione della duration). Neanche durante la crisi del 2008 il mercato Usa aveva chiuso il primo semestre con una perdita così violenta.
I dati ci rivelano che, per la prima volta dal 1972, obbligazioni e azioni perdono contemporaneamente più del 10%, con Wall Street che archivierà il peggior semestre dal 1970 con una perdita del 18%. Solo franco svizzero e dollaro chiudono con il segno più, avvicinandosi pericolosamente alla parità con l'euro.
Che cosa c'è da aspettarsi per il prossimo futuro? La situazione è molto incerta. Di solito, i mercati tendono a portarsi molto avanti, ma prima di una stabilizzazione e di un nuovo equilibrio per provare a risalire dovremo forse aspettare la fine dell’estate: abbiamo davanti due mesi in cui la liquidità di solito scarseggia e questo potrebbe portare un ulteriore tentativo di spingere i listini verso il basso da parte di chi utilizza strategie short. Nel frattempo, però, cominciano a intravedersi opportunità interessanti, soprattutto nella parte value, ma anche nell'obbligazionario. Ci sono fattori esogeni, su tutti la guerra in Ucraina e l’inflazione, che contribuiscono a mantenere alta la volatilità e la tensione sui mercati ed è per questo che è comunque difficile azzardare previsioni di breve periodo.
Torna intanto l’interesse sui Btp (quelli con scadenza 2 anni hanno un rendimento dell’1,4%): l'ultima asta dei buoni del tesoro ha registrato un vero e proprio boom di domande e anche la domanda sul Btp Italia legato all’inflazione ha avuto tante sottoscrizioni anche dal mercato retail. A tranquillizzare gli acquirenti è il ritorno dello spread a una quota intorno ai 200 basis point: pur essendo ancora troppo alto, il valore dei differenziali tranquillizza per la ritrovata stabilità sotto i 250 punti.

 Anche Powell ammette errori di valutazione
Le Borse europee hanno intanto reagito con fiducia (e rialzi generalizzati anche se contenuti) all'apertura del Forum annuale della Bce, in programma a Sintra, che vedrà confrontarsi i governatori delle tre principali banche centrali (Christine Lagarde, Andrew Bailey e Jerome Powell) su come combattere l'inflazione ed evitare la recessione.
Il numero uno della Federal Reserve è reduce da un confronto al Congresso americano, durante il quale si è scusato per i “giudizi errati” sull'inflazione, ammettendo nel contempo che il rialzo dei tassi potrebbe causare una recessione.
Come commentare? Giusto con un auspicio: che si stia sbagliando un'altra volta.
Anche se, per dirla tutta, negli Stati Uniti questa eventualità provocherebbe meno problemi rispetto all'Europa, proprio per le diverse dinamiche del mercato del lavoro. Negli Usa c'è attualmente piena occupazione: anche se si innescasse una fase recessiva, il tasso di disoccupazione potrebbe sì aumentare, ma non in modo drammatico. Per questo, il presidente della Federal Reserve ha voluto tranquillizzare i deputati americani, affermando che l'eventuale recessione non fermerà comunque la crescita.
In Europa invece la disoccupazione è sempre più elevata, aggravata da un problema migratorio drammatico: da un lato gli arrivi dalle rotte africane, dall'altro l'afflusso di profughi dall'Ucraina. Mentre la gestione a livello europeo è disastrosa: manca un benché minimo coordinamento ed è assente una qualsiasi strategia per creare occasioni a queste popolazioni nel loro paese di origine. Abbiamo tutti negli occhi le immagini drammatiche della strage di Melilla/Nador: ci si chiede che cosa si sia fatto per evitare una situazione come questa. E che cosa ci si proponga di fare.
L'Europa deve organizzarsi, e in fretta: la crisi del grano ucraino è appena agli inizi, e l'esplosione dei prezzi potrebbe creare una catastrofe umanitaria, con fughe di massa di nuovi migranti spinti dalla fame. Inutile però farsi illusioni: sono anni e anni che ne parliamo e poco o niente è stato fatto, lecito pertanto il timore che continuerà a essere così anche in futuro.

Impoverimento generale
Naturalmente, se Atene piange, Sparta non ride: in questi mesi anche gli europei vedono ridurre drasticamente il loro potere d'acquisto, con un serio rischio di impoverimento. Uno studio di Nomisma prevede una stangata da 657 euro a famiglia per il gas, mentre i tentativi (soprattutto italiani) di introdurre un tetto al suo prezzo vengono regolarmente rinviati al mittente.
È l'ennesima dimostrazione di quanto fosse infelice la gaffe di Draghi sui condizionatori. Una battuta che è stata ripetuta una seconda volta, ma che tra gli italiani ha causato più reazioni spiritose e meme che contrarietà e proteste. Forse è un rifiuto inconscio di ciò che sta accadendo e dei rischi che corriamo: se si cammina per le strade delle nostre città si vedono ristoranti pieni e negozi affollati. Potremmo essere nel pieno della classica quiete prima della tempesta, un po' come accadde nei saloni da ballo del Titanic mentre la nave stava già affondando. Anche ora la situazione sembra più seria rispetto alla sua percezione.
Di contro, il Capgemini Report ha evidenziato che nel 2021 i miliardari italiani sono cresciuti del 7,1% (7,8% quelli nel mondo) – dati che a fine anno dovranno comunque essere rivisti, visto l'andamento dei mercati. Ciò significa che la distribuzione della ricchezza è sempre più polarizzata, anche se in Italia la situazione è ancora una delle migliori per distribuzione di risorse. Alle nostre latitudini, la ricchezza è molto meno concentrata rispetto a quanto accade, per esempio, negli Stati Uniti, paese in cui la capacità economica dipende dalla Borsa. E in cui i poveri sono milioni.

Del Vecchio, dai Martinitt al top della finanza italiana
In Italia, un miliardario (illuminato) di lungo corso era Leonardo Del Vecchio, scomparso lunedì scorso. Del Vecchio, secondo uomo più ricco d'Italia e 62esimo al mondo, è il prototipo dell'imprenditore che si è letteralmente fatto da solo – come da antica tradizione milanese – e che dall'orfanotrofio dei Martinitt ha scalato i salotti buoni della finanza italiana.
La sua capacità e la sua visione imprenditoriale lo hanno portato a valorizzare i suoi collaboratori, a cui regolarmente retrocedeva un premio legato all'utile, e a circondarsi di persone capaci e dotate di senso critico. “Non nominerei mai uno dei miei figli amministratore delegato”, usava dire, “perché un top manager lo si può rimuovere da quella posizione, un figlio no”.
Compiuti gli 80 anni, Del Vecchio – uomo che si è sempre tenuto lontano dalla politica - si è messo in testa di voler dettare le proprie regole su Mediobanca e Generali, la cui influenza sull'economia italiana è notevolissima. La critica rivolta a Mediobanca era che si limitasse a gestire le sue partecipazioni incassando lauti dividendi senza fare la vera banca d’affari promotrice dello sviluppo dell’economia in Italia.
Ora i suoi eredi dovranno sottostare a regole di successione blindate, che li vincoleranno a decisioni quasi unanimi, pari all'88% dei diritti di voto. Questa clausola vuole evitare la frammentazione dell'impero fondato dal self made man milanese trapiantato in Veneto.

Saipem non fa il prezzo
A Piazza Affari è protagonista (negativa) Saipem, che a fine settimana ha perso il 43% in due giorni dopo il warning della Consob. Lunedì 27 giugno, primo giorno dell'aumento di capitale di 2 miliardi, il suo titolo è stato sospeso per tutto il giorno.
Una reazione decisamente isterica e fuori luogo, il classico topolino che ha partorito un elefante: l'aumento di capitale non è e non è mai stato un problema, ma è apparso tale solo per le solite pastoie burocratiche italiane. Quelle che bloccano un'operazione pianificata per gennaio, per tempi tecnici e burocrazia infinita, e la rimandano a giugno. La reazione isterica dei mercati è del tutto fuori luogo: il consorzio di garanzia ha già dichiarato che l'aumento di capitale sarà sottoscritto regolarmente.
Nessun panico, dunque: la società è solida e beneficerà nei prossimi anni di ordinativi importanti legati alla sua attività.

Il primo Wimbledon senza Federer
Spostiamoci oltre Manica, dove si è da poco aperto il torneo di Wimbledon. Che ha una particolarità: è il primo da 24 anni senza Roger Federer ai nastri di partenza (esclusa, ovviamente, l'edizione annullata causa Covid). Nel giugno del 1998, quando il futuro Roi Roger calcava ancora l'erba del torneo juniores (vincendolo), l'Europa stava cambiando pelle con una vera e propria rivoluzione copernicana. L'euro era stato definito da poco tempo, così come la Banca Centrale Europea, alla cui testa era fresco di nomina l'olandese Wim Duisenberg.
È comprensibile, pensando a quei tempi, chiedersi che cosa si sarebbe potuto fare per evitare le situazioni che si sono presentate in seguito. Perché sarà anche vero che l'euro ha funzionato bene in vari ambiti, ma la politica economica dell'Eurozona si è spesso dimostrata deficitaria. D'altra parte, se dal 2007 il prodotto interno lordo europeo è passato dal 90% al 60% del pil americano, qualcosa non ha funzionato: l'austerity delle politiche di bilancio imposte dai policy makers comunitari si è rivelata perdente rispetto alle politiche espansive di oltre oceano.
Tornando indietro, si sarebbe potuto correggere in particolare un errore: quello di mantenere rigidamente separato il debito pubblico dei paesi membri. Puntare da subito sull'emissione di eurobond avrebbe sicuramente stabilizzato l'economia europea, esaltandone la competitività. Ed evitando molte crisi (prime fra tutte quelle legate alla Grecia e allo spread) che hanno rischiato di minare l'esistenza stessa della nostra moneta e dell’Unione Europea.

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